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Hollywood Flies
Ragazza pugliese, Martina si reca in America per rivedere il fratello Luca, lì per un master, e, attraversando la Valle della Morte, caricano in auto Sean e Jamie, due autostoppisti. Ma, non sapendo che si tratta di due rapinatori colpevoli dell'uccisione di un poliziotto, si fermano in un motel. Il mattino seguente, però, Luca viene svegliato da una telefonata dei due malviventi, i quali hanno rapito Martina e, se vorrà rivederla sana e salva, dovrà portare il bottino della rapina oltre i posti di blocco, fino a Hollywood, dove avverrà lo scambio. Ma Cherie, avvenente spogliarellista di Las Vegas che si trova nel motel, braccata dal suo ex fidanzato, fugge disperata insieme a Luca e, accortasi, in automobile, della borsa piena di soldi, lo immobilizza in un bagno pubblico, gli danneggia il telefono cellulare e scompare con il malloppo, complicando le cose.
A cinque anni da Terra bruciata, suo lungometraggio d'esordio, Fabio Segatori torna dietro la macchina da presa per dedicarsi a Hollywood flies, tratto dal romanzo Mosche a Hollywood, scritto dal giovanissimo Alessandro Fabbri, co-produzione tra Italia, Gran Bretagna e Canada che vanta un cast decisamente atipico ed eccezionale. Protagonisti sono infatti la Bianca Guaccero che prese parte anche al primo, citato film del regista, e quell'Antonio Cupo, ora noto per il serial televisivo Elisa di Rivombrosa, apparso, tra l'altro, nell'horror barkeriano Saint sinner (2002) e nella commedia Lizzie McGuire-Da liceale a pop star (2003); ed al loro fianco troviamo il Brad Renfro de L'allievo (1998), il Vinnie Jones di Lock & stock-Pazzi scatenati (1998) e Casper Van Dien, da tempo relegato in squallide produzioni di serie b del calibro di Van Helsing-Dracula's revenge (2004), all'interno di una vicenda in cui tutti, come il titolo suggerisce, non sono altro che mosche sui soldi, pronti a tutto.
Riuscendo a chiudere un occhio sul doppiaggio italiano che in parte penalizza la recitazione, possiamo tranquillamente affermare che l'aria che si respira in questo thriller on the road d'inizio millennio, non sia poi tanto distante da quella che caratterizza un po' tutti i discreti telefilm d'azione a stelle e strisce, anche se, in un certo senso, l'ambientazione e le atmosfere rimandano a quella tipologia di prodotti di genere nostrani degli Anni Ottanta che ricalcavano i successi americani; tanto per fare qualche esempio, il rambiano Thunder (1983) e, in generale, un po' tutte le produzioni di Larry Ludman alias Fabrizio De Angelis. Non a caso, tra gli sceneggiatori (sette!), troviamo quell'Aldo Lado che realizzò proprio alcuni gioielli del nostro cinema bis a cui Tarantino & company rendono spesso omaggio, dei quali vale almeno la pena di ricordare La corta notte delle bambole di vetro (1971) e L'ultimo treno della notte (1975).
Insomma, nulla di nuovo sotto il sole, se paragoniamo l'opera al resto della cinematografia mondiale, ma, almeno, un lavoro italiano, senza infamia e senza lode, che, con i suoi pregi (molti) e difetti (pochi), tenta coraggiosamente di portarci fuori dalle due camere e cucina in cui ha finito per rinchiudersi la celluloide tricolore, spingendoci a trascorrere in sala una serata niente male. E potreste anche rintracciarvi qualche simbologia o allegoria riguardante l'incontro tra due diverse culture: quella americana e la nostra.
La frase: "Facciamo come gli italiani subito: pronto, prego, ti amo, spaghetti oh oh!".
Francesco Lomuscio
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