Hollywood Ending

Nelle opere di molti registi ci sono sempre dei cenni autobiografici ed in quelle di Woody Allen qualcosa di più di un semplice cenno, ma "Hollywood Ending" sembra essere stato cucito direttamente sulla sagoma del cineasta.
La storia di un regista, Val Waxman (Allen, appunto), che dopo due Oscar, ha iniziato una parabola discendente che dagli allori della critica lo ha fatto precipitare fino alla direzione dei più beceri spot pubblicitari. Ipocondriaco, maniaco, ma allo stesso tempo geniale Val è una sorta di parodia dello stesso Allen. L'occasione del riscatto si presenta con un nuovo film della Galaxy Pictures, la società di produzione dell'uomo che gli ha "soffiato" la moglie, Ed (George Hamilton / "Il Padrino III"), e l'idea di scritturare Val è proprio dell'ex-moglie, Ellie (Tea Leoni / "People I Know"), che forse cerca un modo per riscattarsi dall'aver abbandonato il suo ex-marito o semplicemente è impietosita dal suo attuale stato.
Fatto sta che Val, dopo i tipici tentennamenti alleniani e dopo mille monologhi con la sua attuale convivente, che ha lo stesso QI di un divano, decide di accettare. Peccato che il suo nervosismo gli causerà una cecità psico-somatica che, ovviamente, gli impedirebbe di girare il film, ma che, altrettanto ovviamente, non lo fermerà grazie alla complicità del suo agente Al (Mark Rydell / "Havana") e della stessa Ellie.

Il gioco delle scatole cinesi, del film nel film, è un classico reso ancora più attuale dall'ultimo lavoro di Soderbergh, "Full Frontal", qui però non c'è nulla a delimitare il confine tra personaggi e protagonisti, mantenendo costantemente in bilico la realtà e la fiction fino a non essere più distinguibile. Certo la denuncia al sistema hollywoddiano, tanto odiato da Allen, è aperta ed evidente, ma i toni della commedia tendono a stemperare le accuse facendole cedere nel comico, così da essere chiare solo al pubblico più attento, che è poi il solo a cui Allen ama rivolgersi. Una pellicola come "I Protagonisti" risulta molto più graffiante ed incisiva e stigmatizza in modo più indelebile la situazione del cinema americano.
In ogni caso il film si lascia vedere, a dispetto della consueta fotografia dai colori caldi al limite della sovraesposizione (una sorta di marchio di fabbrica), senza particolari picchi scandito dalle sempre graffianti battute che serpeggiano nello script. L'appunto maggiore va rivolto all'eccessiva lunghezza della "cecità" del regista, che alla lunga può risultare noiosa soprattutto perché basata sempre sul tormentone degli urti agli oggetti e delle conversazioni rivolte ad un inesistente interlocutore.
I buoni comprimari, insieme ad Allen, ci restituiscono un affresco credibile del mondo di celluloide, anche se comunque una domanda continua ad affacciarsi nella nostra mente: ma se Tea Leoni non è diventata una star fino ad oggi, ci sarà un motivo?

Curiosità: Allen come al solito, ha recitato utilizzando i vestiti del suo guardaroba e non costumi di scena.

La frase: "Non ci spenderei trenta secondi su quello che dicono i critici, sono il livello più basso della cultura."

Indicazioni:
Per i fans di Allen e non.

Valerio Salvi

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