Hitman - L'assassino
Esplosioni, inseguimenti, crani fracassati: ecco a voi l’Agente 47.
Completamente pelato e col codice a barre tatuato sulla nuca - facili ironie si sprecherebbero, perciò ci asteniamo deliberatamente - il nostro eroe sortisce dritto dritto dall’omonimo videogame della Eidos Interactive, qui adattato per il grande schermo dalla regia di Xavier Gens. Volto a non deludere gli amanti del cinema fracassone in cui il singolo superuomo corre solo contro tutti, Timothy Olyphant interpreta impassibile e impalato l’assassino professionista evaso dalle console di tutto il globo.

L’intreccio qui presentato, che sopperisce alle lacune della trama videogiocabile con inserti presi di peso dal telefilm “Dark Angel” targato Fox, ci mostra inizialmente l’infanzia di una giovane macchina per uccidere come questa: addestrato come un soldatino, 47 reprime emozioni e affetti crescendo come efficace killer su commissione, senza porsi altre domande che quelle concernenti obiettivo da abbattere e compenso sonante. Quando, come spesso accade negli impianti narrativi del filone, il soggetto in questione è posto al centro di un’astuta macchinazione e incastrato in giochi di potere più grandi di lui, qui si parrà la sua nobilitate nel liberarsi delle forze dell’ordine di mezza Europa e far fuori i cattivoni, ristabilendo l’ordine a suon di mitragliate. Solo ed esclusivamente i fan del gioco sapranno stabilire con certezza quanta fedeltà ci sia all’impianto originale e al calco imperturbabile del vero Agente: i comuni mortali che invece si approcciassero al film come ad un qualsiasi action-movie a base di Uzi e cadaveri nel bagagliaio dovranno invece valutarlo esclusivamente in base alle scene presentate - senza porre eccessiva attenzione a dialoghi ridicoli e sciabolate poco credibili, ma godendosi piuttosto il carrozzone globalmente allestito.

Già le premesse sono nitidamente familiari: il sistema ha creato un mostro, salvo poi decidere per ragioni di puro interesse di disfarsene. Gli stilemi di genere ci sono tutti, a mancare davvero sono invece il giusto mordente e un equilibrio di tono che permettano allo spettatore di prendere sul serio le evoluzioni algide dell’impassibile sicario, trincerato per un’ora e mezza dietro la maschera stoica di un guerriero devoto alla missione e solo a quella.
Platonicamente appaiato ad un’asciutta bellezza russa (Olga Kurylenko), in ossequio al cliché misogino della donzella in difficoltà, il personaggio mostra le incongruenze che gli muoveranno forse le critiche dalla truppa di adolescenti duri e puri (compresi tra i 15 e i 35 anni, ammettiamolo) che ne seguono le gesta armati di joypad: il gioco non prevede alcuna sottotrama romantica, perciò questo tentativo di addolcirlo donandogli un risveglio di coscienza grazie agli occhioni da cucciolo dell’Olyphant protagonista stride non poco con la presunta ferocia originale. Il fatto che il protagonista resti asessuato e che l’habitué Vin Diesel ci abbia messo i soldi ma non la faccia, poi, fa sorridere. Chiediamoci perché.

La frase: "Noi siamo la CIA, ma la CIA non è qui, il che significa che se vi ammazziamo tutti nessuno potrà darci la colpa".

Domitilla Pirro

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