Henry
"Henry" è il nome della "roba bianca" proveniente dal Kenya, molto amata da pusher e tossicodipendenti romani. Giovanni Mastrangelo sceglie questo nome per titolare il suo libro, uno dei primi a trattare l’argomento. Lo stesso fa Alessandro Piva, trasformando in immagini l’opera letteraria. Scrive, produce e dirige un film che affronta una realtà ben specifica della malavita romana che il cinema non ha ancora per nulla approfondito, anche perché si tratta di una situazione neo nata all’interno dell’universo criminale capitolino.
Roma non è solo la culla dell’arte e dell’architettura, è anche una metropoli in cui la criminalità organizzata ha trovato terreno fertile per i suoi traffici. Sono due le bande coinvolte nella vicenda: una gang di africani e un gruppo di mafiosi meridionali. Entrambe hanno lo stesso obiettivo e tra di loro la lotta sarà spietata. In questa guerriglia si inseriscono le storie di Nina (Carolina Crescentini), il suo fidanzato Gianni (Michele Riondino) e il loro amico da anni tossicodipendente Rocco (Pietro De Silva). C’è di mezzo anche un delitto, su cui indagheranno gli agenti Silvestri (Claudio Gioé) e Bellucci (Paolo Sassanelli).
"Henry" è un piacevole ibrido tra un mafia movie e un thriller, il tutto condito con un umorismo che definire nero appare riduttivo. Si tratta di un film decisamente particolare, dal quale non ci si deve aspettare un genere ben definito o una regia classica e rigidamente impostata. La storia è raccontata principalmente attraverso inquadrature lunghe, zoom e movimenti di macchina che seguono i personaggi in giro per le case e per le strade. Uno stile particolare che utilizza soggettive e vedute fuori fuoco cui non dispiace assistere ogni tanto anche in un film italiano. Il racconto è punteggiato di inquadrature fisse dei protagonisti che raccontano l’accaduto in una sorta di interrogatorio rivolto direttamente al pubblico.
C’è da dire però che per due aspetti, fondamentali tra l’altro, l’opera di Piva è piuttosto carente: la fotografia risulta quasi per niente curata, forse a causa del budget ristretto; un vero peccato, considerando che poteva dare molto a livello di atmosfera (che, in effetti, nel film è inesistente). Non convince neanche la recitazione, complessivamente non molto buona, accompagnata dal gergo un po’ retorico e poco realistico usato dai malavitosi di entrambe le bande.
Un microcosmo degno di nota è il piccolo appartamento di Nina, dalla luce acida e dall’aria un po’ insana. Nina ci mostra una Crescentini insolita, sporca, davvero interessante: una prova ulteriore della versatilità della giovane attrice.
Un film particolare, difficile da consigliare o da sconsigliare, dipende tutto dalla sensibilità del singolo spettatore.
La frase:
"Eh no, troppo facile Gianni... Qui non ce l’hai una seconda vita".
a cura di Fabiola Fortuna
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