Grindhouse - A prova di morte
La pellicola è graffiata, l'audio gracchia e vi sono perfino immagini in bianco e nero ed evidenti mancanze di fotogrammi.
Come il titolo suggerisce, sembra proprio di essere tornati ai tempi in cui esplose negli Stati Uniti la mania per i film grindhouse, i quali venivano proiettati uno dopo l'altro in gloriose sale cinematografiche ormai decrepite.
D'altra parte, assistere ad un lungometraggio diretto dall'enfant terrible di Hollywood Quentin Tarantino significa entrare nella stanza dei ricordi di un cinefilo doc, all'interno di cui, indistintamente, possiamo trovare sia magliette riportanti la scritta "L'ultimo buscadero", titolo italiano di "Junior Bonner" (1972) di Sam Peckinpah, che locandine di oscure produzioni messicane e spagnole del calibro di "Las tres Elenas" (1954) e "El limite del amor" (1976), senza contare la targa JJZ-109 della Mustang vista in "Bullit" (1968) con Steve McQueen.
Perché è proprio questa una parte dell'oggettistica che viene nostalgicamente esposta durante la vicenda di Stuntman Mike, psicopatico interpretato da un cicatrizzato Kurt Russell con tanto di basette a punta, il quale, probabilmente invidioso dell'ignoto camionista di "Duel" (1971) o del demoniaco pilota de "La macchina nera" (1977), se ne va in giro per le polverose strade del Texas in cerca di libidinose fanciulle da torturare ed uccidere tramite l'uso esclusivo del suo possente e rovente bolide, munito di cofano con sopra disegnato un teschio bianco.
Principalmente, infatti, ancor prima che i connotati di uno slasher o di un thriller d'azione, la nuova fatica del regista di "Pulp fiction" (1994), che cura anche la sgranata fotografia, sembra possedere in maniera più o meno latente quelli di un rape & revenge on the road, dove le tormentate protagoniste, decise ad attuare la difesa, impugnano anche un tubo di ferro-simbolo fallico, lasciando tranquillamente emergere quella certa allegoria antimaschilista che già fu alla base dei due splendidi "Kill Bill".
E, ovviamente, mentre Michael Parks, affiancato dal figlio James, torna per qualche minuto a vestire i panni dello sceriffo Earl McGraw di "Dal tramonto all'alba" (1996), regalando uno dei momenti più esilaranti della pellicola, non mancano i classici dialoghi da antologia, i quali, oltre a citare John Hughes e titoli come "Zozza Mary, pazzo Gary" (1974) e "Punto zero" (1971), finiscono per racchiudere il senso dell'opera nella sequenza in cui Mike si sente rispondere da alcune ragazze che non conoscono i vecchi serial di cui sta parlando.
Come tutta la filmografia tarantiniana, quindi, "Grindhouse-A prova di morte", commentato da una colonna sonora eccellente (si spazia da "Baby it's you" rivisitata dagli Smith a temi estratti dalle colonne sonore di "La polizia sta a guardare", "Il gatto a nove code" e "Italia a mano armata"), si presenta con l'intenzione di invitare le giovani generazioni a riscoprire un'appassionante, sporca e coinvolgente cinematografia del passato, ben lontana dal facile ricorso alla computer grafica, tramite la testimonianza di chi ne è stato diretto spettatore.
Se l'impressione finale è quella di aver assistito ad un violento racconto che, dopo un avvio interessante, si perde eccessivamente in chiacchiere per poi riprendersi nel corso degli inseguimenti mozzafiato che conducono verso l'epilogo, lo dobbiamo con ogni probabilità alla discutibile politica distributiva che ha voluto separare "Death proof" da "Planet terror", segmento diretto da Robert Rodriguez, insieme al quale, in patria, costituisce il lungo film semplicemente intitolato "Grindhouse".
Una squallida operazione di mercato che ci pone allora dinanzi ad un elaborato incompleto, la cui leggera imperfezione dei ritmi narrativi lascia tranquillamente pensare alla mancanza del "secondo tempo" che poi vedremo in separata sede, magari accompagnato dai deliziosi trailer in vecchio stile realizzati da Edgar Wright, Rob Zombie e Eli Roth (che, tra l'altro, recita in questo episodio).
Solo allora decideremo se l'otto abbondante attribuibile a "Grindhouse-A prova di morte", grazie anche alla buona prova del cast costituito da Rosario Dawson, Tracie Thoms, Mary Elizabeth Winstead e Zoë Bell, potrà elevarsi a nove o, addirittura, dieci.

La frase: "Sai quando ho detto che questa macchina è a prova di morte? Beh, non era una bugia, questa macchina è a prova di morte al cento per cento. Ma la cosa vale solo per chi è seduto al mio posto"

Francesco Lomuscio

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