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Great Directors
Si comincia con inquadrature di David Lynch, ma il primo cineasta che vediamo intervistato è il nostro Bernardo Bertolucci, impegnato a ricordare Pier Paolo Pasolini, che pare fosse un amico di suo padre quando lui era ancora giovanissimo.
E’ soltanto dopo l’apparizione di Catherine Breillat, la quale racconta che voleva fare la regista e la scrittrice fin da quando aveva dodici anni, che vediamo entrare in scena il visionario autore di "Inland empire", con aneddoti riguardanti sia l’esordio "Eraserhead - La mente che cancella" – che nessuno ha mai capito essere il suo film più spirituale – che il modo in cui Mel Brooks lo accolse per fargli dirigere il capolavoro "The elephant man".
Sono i primi tre di dieci "great directors", appartenenti a diversi paesi e culture, che la regista Angela Ismailos ha incontrato per concepire il suo lungometraggio d’esordio, vero e proprio atto d’amore nei confronti della Settima arte.
"Great directors" cui si aggiungono strada facendo Agnès Varda, definita a suo tempo la "nonna della Nouvelle vague", Todd Haynes, preso a sfoggiare una certa stima per Rainer Werner Fassbinder mentre parla anche di come è stato riconosciuto esponente del cinema queer, e il Richard Linklater che, anni prima di firmare a Hollywood "School of rock" con Jack Black, diresse "Suburbia".
Senza dimenticare Liliana Cavani, ossessionata dal Terzo reich e appassionatasi all’universo della celluloide tramite la scoperta del Neorealismo, e John Sayles, indipendente autore di "Stella solitaria" che si trova spesso a fare da sceneggiatore per la mecca del cinema (suo, tra l’altro, lo script de "L’ululato", anche se la Ismailos mostra erroneamente la locandina di "Un lupo mannaro americano a Londra").
Fino a Ken Loach e Stephen Frears, dalle carriere segnate dalla politica dei Laburisti.
Perché, pur trattandosi di un documentario riguardante il mondo delle immagini in movimento, non è certo la politica ad essere assente nei discorsi dei nomi noti, protagonisti di circa 90 interessanti minuti di visione che non mancano neppure di fornire riflessioni relative alla depressione spesso derivata dalla paura di perdere il successo in campo artistico.
La frase: "Volevo fare un film su registi di culture e paesi diversi".
Francesco Lomuscio
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