Glory road
Per l'estate cinematografica italiana del 2006, sembra proprio che alla Buena Vista International abbiano pensato bene di puntare particolarmente su lungometraggi il cui sfondo è rappresentato dall'affaticato universo dello sport. Infatti, dopo "Il più bel gioco della mia vita" di Bill Paxton, incentrato sulla vita del giocatore di golf Francis Ouimet, e "Stick it" di Jessica Bendinger, ambientato nel mondo della ginnastica artistica, è il turno di "Glory road", diretto dall'esordiente James Gartner e tratto dalla storia vera della squadra che cambiò la pallacanestro.
La misconosciuta Texas Western dell'allenatore Don Haskins, la quale, composta esclusivamente da giocatori afroamericani, scosse gli Stati Uniti vincendo il campionato NCAA del 1966, in un periodo per il paese pieno di fermenti culturali e filosofici che avrebbero finito per mutare la società.
E, al fianco del veterano Jon Voight e di un manipolo di giovani volti tra cui Mehcad Brooks (il serial tv "Disperate housewives") e Derek Luke ("Pieces of April"), è il bravo Josh Lucas ("Poseidon") a concedere anima e corpo al coach che riuscì ad imporsi contro tutto e contro tutti, all'interno di un reale apologo che si presenta come evidente allegoria anti-razzista su campo da gioco ulteriormente impreziosito da una splendida colonna sonora di vecchi hit. Perché, al di là della ricostruzione scenografica e della tipologia di dialoghi, quando si tratta di raccontare per immagini in movimento il decennio dei Sessanta, il commento musicale assume non poca importanza; quindi Gartner, che dirige senza infamia e senza lode ma si mostra capace d'inserire indispensabili personaggi di contorno (vedasi l'esilarante Signora Flournoy, con le fattezze di Elizabeth Omilami), rende l'insieme più "orecchiabile" ricorrendo a classici del calibro di Twist and shout degli Isley brothers, Baby love delle Supremes e la strumentale Green onions di Booker T. & The Mg's, mentre la fotografia di Jeffrey L. Kimball (Mission: impossible 2) e John Toon (Sylvia) compie egregiamente il suo dovere.
D'altra parte, a produrre è Jerry Bruckheimer (lo stesso di "Pearl Harbor" e "La maledizione della prima luna", tanto per citare due titoli), la confezione, quindi, tra erotici muscoli sudati e vittoriosi entusiasmi, è di quelle lussuose in grado di mettere tutti (o quasi) gli spettatori d'accordo, per circa 106 minuti che si lasciano tranquillamente guardare, senza annoiare mai, anche se verranno principalmente amati dagli irriducibili fanatici del basket e della sua storia.

La frase: "Questi ragazzi non si stanno giocando solo un campionato".

Francesco Lomuscio

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