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Gli sfiorati











Matteo Rovere conferma l’ottima impressione suscitata con "Un gioco da ragazze" dirigendo con mano ferma una trama irregolare e molto insidiosa che rischiava di perdersi nell’incertezza. Tratta dal romanzo di Veronesi datato 1990, la storia è trasferita al giorno d’oggi e diviene metafora del vagabondare distratto delle nuove generazioni, in cerca di qualcosa, sempre in movimento ma mai in grado di cogliere nulla. Lo stesso oggetto del desiderio qui è reiterato ossessivamente trascinandoci in un leggero e indefinito girovagare, seppur allietato dai toni da commedia con cui è tinto il plot. L’aspettativa e le ansie raccolte dal protagonista, echeggiate anche da sequenze oniriche, esplodono nel finale nella scena clou della narrazione, cui assistere attoniti e in un certo modo violati.
Il film è una storia sulla tentazione, come dichiara la sceneggiatrice. E’ anche di più: tante sono le riflessioni che suscita una pellicola così peculiare, che sfugge ad una definizione di genere. Sono tante almeno quanti sono i personaggi che vi si muovono all’interno, rappresentati a tutto tondo, con un tocco ironico, grottesco e tragico. Nessuno fa da spalla, nessuno è costretto in un ruolo predefinito e chiuso; a tutti, persino ad Asia Argento, la meno "protagonista" della storia, è dedicata una parentesi abbastanza ampia da permettere un riscatto, o una parola.
Le facili metafore sociali sono fin troppo facili e sarebbe vigliacco evidenziare le più ovvie: una "famiglia fuori dall’ordinario", un "amore impossibile", una "vita disordinata". Sono tante le catalogazioni che si possono dare ad un film come questo. Ma come uno dei personaggi afferma: gli sfiorati sono quella categoria che è tale proprio perché è indefinibile e inafferrabile. Benvenuto allora ad un cinema italiano di questo tipo, che si rifà certamente alla tradizione, seppur con maggior respiro, ma cerca sperimentazioni e commistioni di genere che meritano un plauso. Un ultimo accenno lo merita la sequenza finale che porta i protagonisti in una sorta di "cavalcata finale" accompagnata dalla più classica delle musiche leggere, quella "Più bella cosa" di Ramazzotti che colora di semplicità un finale fin troppo interpretabile e insieme strizza l’occhio alla commedia italiana degli ultimi anni, che pesca a piene mani dal passato glorioso della musica leggera nostrana.

La frase:
"Sono gli sfiorati".

a cura di Matteo Brufatto

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