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GlassLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Francesco Lomuscio09 gennaio 2019Voto: 6.0
Tutto ha senso: nei fumetti il cattivo più temibile è l’esatto opposto degli eroi e, molto spesso, sono amici.
È ciò che nel 2000 fu possibile apprendere tramite “Unbreakable – Il predestinato”, diretto dal cineasta di origini indiane M. Night Shyamalan che, anche in questo caso dietro la macchina da presa, si concede, inoltre, una breve apparizione ricollegata al cameo che fece proprio in quella pellicola interpretata dal Bruce Willis già al suo servizio per l’acclamato “The sixth sense – Il sesto senso”. Il Bruce Willis che incarnò il David Dunn misteriosamente sopravvissuto a un disastro ferroviario e che, entrato in contatto con l’Elijah Price dal volto di Samuel L. Jackson, soprannominato “uomo di vetro” in quanto soggetto a continue fratture a causa della malattia conosciuta come osteogenesi imperfetta, troviamo qui impegnato a inseguire la personalità sovrumana di Kevin Wendell Crumb, ovvero una delle ventitré del James McAvoy responsabile del rapimento di tre ragazze in “Split”, firmato nel 2016 dallo stesso Shyamalan. Ragazze comprendenti la Casey Cooke interpretata da Anya Taylor-Joy, la quale, come pure il già citato Jackson, torna all’interno di quello che, in un’epoca cinematografica che vuole spesso crossover al posto di semplici sequel, complici gli universi condivisi generati soprattutto nell’ambito dei cinecomic e dell’horror (si pensi soltanto agli incroci tra le saghe “The conjuring” e “Annabelle”), si presenta, ovviamente, in qualità di continuazione di entrambi i lungometraggi shyamalaiani. Continuazione che, oltre a riportare in scena Charlayne Woodard e Spencer Treat Clark rispettivamente nei ruoli della madre di Price e di Joseph, figlio ormai cresciuto di Dunn, tira in ballo il fondamentale personaggio della dottoressa Ellie Staple, cui concede anima e corpo Sarah Paulson, specializzata in individui convinti di essere supereroi e che ha a disposizione tre giorni per curarli. Individui che si mostrano all’opera fin dall’avvio delle quasi due ore e dieci di visione, prevalentemente costruite su lenti ritmi di narrazione come, bene o male, tutta la filmografia dell’autore di “E venne il giorno” e “The village” e nel corso delle quali non manca neppure qualche cadavere lasciato a terra. Un aspetto, quest’ultimo, sicuramente più vicino alla radice di racconto di paura in fotogrammi che ha caratterizzato il film del 2016 che al cuore di quello di sedici anni prima, affascinante riflessione relativa alla filosofia delle figure dei protagonisti e degli antagonisti nell’universo delle pagine disegnate. Una riflessione che, probabilmente influenzata da un periodo storico e da un’umanità molto meno stimolanti e portatori di positività rispetto a ciò che era l’esistenza prima dell’inizio del terzo millennio (non dimentichiamo che l’11 Settembre 2001 è stata soltanto una delle date tristi del XXI secolo), viene in questo caso rinnovata affermando che i fumetti non sono libri di storia e lasciando avvertire l’intento di suggerire la maniera in cui la fantasia finisca, in ogni modo, per essere oscurata dalla realtà. Un intento che, di taglio decisamente pessimista, si rivela l’elemento più interessante di un’operazione lodevole dal punto di vista tecnico, ma chiaramente dovuta ad esigenze alimentari e che si guarda non senza il rischio occasionale noia (forse perché tirata un po’ troppo per le lunghe). La frase dal film:
“La verità è che possiamo fare cose che voi non potete fare I FILM OGGI IN PROGRAMMAZIONE: In evidenza - Dal mondo del Cinema e della Televisione. |
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