Geomen tangyi sonyeo oi (With a girl of Black Soil)
Young-Lim è una bambina di nove anni che, in seguito alla perdita del lavoro del padre, dopo un incidente avvenutogli in miniera, porta il fratello Tong-gu, affetto da problemi di salute mentale, presso un istituto per alunni handicappati; mentre tiene duro lottando per la sopravvivenza e qualcuno ha già fissato una data per la demolizione della loro abitazione.
Questa, a grandi linee, è la trama di "Geomen tangyi sonyeo oi", conosciuto anche con il titolo anglofono "With a girl of black soil", diretto dal coreano Jeon Soo-il.
Come è possibile intuire, quindi, una storia familiare di solitudine ed emarginazione, cui giova sicuramente la grigia atmosfera enfatizzata dalla bella fotografia, la quale non lascia mai splendere il sole nel cielo.
Ed una nota di merito va in particolare ai componenti del cast, le cui positive performance, però, non riescono nell'impresa di rendere digeribili circa novanta minuti di pellicola che lasciano progressivamente intuire come l'idea di base si sarebbe potuta sfruttare sicuramente meglio all'interno di uno short o, al massimo, un mediometraggio.
Già, perché, tra lunghe inquadrature fisse e silenzi che quasi sempre vanno a sostituire la colonna sonora, riducendo al minimo perfino la presenza dei dialoghi, possiamo tranquillamente ed in maniera ironica (???) affermare che quello che abbiamo tra le mani, costruito su uno script che avrebbe fatto un figurone nel nostro sottogenere dei lacrima-movie, sia uno degli ideali candidati di celluloide atti a sostituire il famigerato "La corazzata Potemkin" all'interno di un ipotetico remake o sequel fantozziano.
Quindi, non vi sono altre osservazioni da aggiungere (ed è veramente impossibile trovarne) per un prodotto che, con tutta la buona volontà, risulta banale sotto ogni aspetto, oltre a non riuscire a suscitare quella tenerezza che vorrebbe ed a mancare totalmente di necessario lirismo. Tanto da generare soltanto noia a non finire e da assumere le poco invidiabili fattezze di una vera e propria tortura soporifera su celluloide per il povero spettatore ormai entrato in sala.
La frase: ""Young-Lim, dov'eri?"".
Francesco Lomuscio
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