Genius
Uno dei film più attesi alla Berlinale 66 è sicuramente “Genius”, se non altro per il cast stellare messo al servizio dell’opera prima di Michael Grandage. L’affermato regista teatrale che per 10 anni ha condotto la Donmar Warehouse di Londra e che ha vinto anche un Tony Awards con Red nel 2010.
Il palcoscenico gli stava stretto però e ha deciso di fare il salto sul grande schermo e non è da tutti avere un cast di livello stellare per il proprio primo lavoro: il premio Oscar Colin Firth e Jude Law portano sullo schermo il rapporto tra Max Perkins e Thomas Wolf, che era stato raccontato nella biografia “Max Perkins: Editor of Genius” di A. Scott Berg.
L’opera si fonda tutta sul rapporto emotivo più che lavorativo tra i due puntando tutto, in verità troppo su una teatralità e un effetto vintage con una fotografia seppia a tratti stancante e ripetitiva. Gli editori sono dei fuoriclasse silenziosi che non si prendono mai la scena, anche se spesso e volentieri la loro matita rossa riscrive totalmente i testi geniali degli autori confezionandoli e dando loro forma.
Il cinema non ha mai dato la giusta vetrina a questa categoria ed è un onore meritato per Max Perkins, che ha scoperto geni quali Scott Fitzgerald e Hemingway essere stato scelto. La prima immagina con un piede che batte frenetico ci fa capire immediatamente le caratteristiche di Thomas Wolfe, interpretato in modo stupendo da Jude Law: tutto genio e sregolatezza, schizzato, imprevedibile e calcolatore. Completamente opposto il suo mentore e migliore amico Max Perkins, perfetto nello stile compassato e british di Colin Firth. Il film regge interamente sulle loro performance e su quella dell’amante di Wolf interpretata da Nicole Kidman.
Gli ingredienti per fare un capolavoro c’erano tutti, ma il biopic è a livello narrativo davvero molto piatto per il cinema nonostante la sceneggiatura sia stata adattata da John Logan che già aveva lavorato a “Skyfall”, il migliore tra gli ultimi 007. L’emozione vera arriva solo nel finale, quando per la prima volta il volto incorruttibile di Max Perkins si piega dopo una vita a correggere bozze con la matita rossa leggendo un testo che sa già non vorrà cambiare di una virgola.
La coppia funziona e poco importa che la struttura del biopic sia effettivamente noiosa e ripetitiva perché Jude Law riesce a essere splendido come non gli accadeva dai tempi di “Sherlock Holmes” e dopo il divertente “Spy” si mostra al top anche in un ruolo drammatico come quello di Thomas Wolf.
La teatralità raggiunge vette esasperate anche con la musica, che Adam Cork aveva già scritto per il regista nelle precedenti esperienze sul palcoscenico di Londra.
Purtroppo la poetica manca in quasi tutta la parte centrale per tornare nel finale troppo tardi non dando pienamente giustizia a due interpretazioni splendide dei protagonisti.
Michael Grandage riesce a portare sullo schermo il genio di Max Perkins, ma anche quello di Thomas Wolf e ci spiega come ad Hollywood (ma anche nella vita) la realtà è che per essere un genio devi essere un vero “stronzo” pronto a tutto sacrificando gli affetti. Lui in nome del teatro ha ridotto al minimo il cinema in quest’opera, che non piacerà a tutti ma saprà deliziare gli amanti del genere.
a cura di Thomas Cardinali
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