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Free Zone
Un altro film sui conflitti, economici e politico/bellici, delle terre di Israele: il nuovo film di Amos Gitai descrive il viaggio di Rebecca, interpretata da una bellissima Natalie Portman, che si ritrova ad attraversare la Giordania insieme ad una tassista israeliana, Hanna, intenta a voler recuperare una ingente somma di denaro da un tipo che si fa chiamare "l'americano". Il loro viaggio le porterà in una eterea e inaspettata "zona franca"...
"Free zone" si pone a metà strada tra il cinema documentario indipendente e il cinema narrativo e introspettivo: libero da meccanismi hollywoodiani e più attento ad un analisi profonda della situazione politica israeliana e delle conseguenze che questa ha sui personaggi principali, Amos Gitai dirige la pellicola con mano sicura, ma "personalissima", confezionando un prodotto filmico molto diverso da qualunque altra cosa dello stesso genere vista di recente. Girato per lo più nell'abitacolo di un automobile, il taxi sui cui i personaggi intraprendono il loro viaggio, con un uso attento della telecamera a mano, il regista usa la tecnica delle sovrapposizioni per raccontare il passato dei suoi protagonisti. Inoltre tutto ciò che succede nel film lo vediamo attraverso il finestrino dell'automobile, su cui sopra sono riflessi i volti o di Rebecca o di Hanna. Emblematico. L'entrata in scena di un terzo personaggio, Leila, una palestinese, movimenta leggermente l'azione rendendo la pellicola più vicina agli standard più usuali e comuni, ma il film rimane comunque di difficile lettura e poco accessibile ai più.
Difficile.
Per quanto riguarda l'interpretazione, la parte di Hanna ha valso all'attrice Hana Laszlo, che ne ha vestito i panni, la Palma d'Oro come Miglior Attrice al 58° Festival di Cannes; a parte questo il resto del cast appare molto convincente e decisamente in parte, regalando interpretazioni sentite e molto accorate. A tal proposito il pianto iniziale della Portman appare come un vero pugno nello stomaco.
Commoventi.
Bisogna anche aggiungere che "Free zone" è un film a cui non manca pure un pizzico di retorica.
Figlio della scuola registica di Amos Gitai, che di fatto ha girato più documentari che vere e proprie pellicole narrative, il film risulta sicuramente importante, profondamente sentito, ma di difficile fruibilità. Una pellicola anche interessante che però rimane, purtroppo, più indirizzata a un pubblico di intellettuali, che vedranno nel film di Gitai un sentito grido di dolore, ma anche di speranza, per un futuro migliore.
La frase: "...non sono in nessun posto..."
Diego Altobelli
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