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Autore Babel - Inarritu parte terza
Ahsaas

Reg.: 18 Apr 2006
Messaggi: 779
Da: Parma - India (es)
Inviato: 04-11-2006 01:02  
quote:
In data 2006-11-03 21:36, bunch311 scrive:
quote:
In data 2006-10-29 03:32, Ahsaas scrive:
posto anch'io le mie intrippanti considerazioni sul film:

BRUISE PRUISTINE: WE WERE BORN TO LOSE

Mentre si sta guardando un film di Inàrritu, si è sempre avvolti, ogni secondo, da una percezione di paura emotiva per quello che sappiamo o intuiamo stia per accadere: la tragedia umana. Estremizzata da una dimensione esplicita ed esplosiva a cui da sempre il filmaker ricorre, in quanto cant(aut)ore del dramma, del dolore che vuole irrimediabilmente toccare, coinvolgere, distruggere lo spettatore.
Così era per le sue precedenti opere, e così è per Babel, che ripercorre casi di fatalità, coincidenze mortali che stavolta non legano più solamente diversi personaggi di un medesimo spazio, bensì diverse nazioni. Una scatola nera che cuce frammenti internazionali per legarli in un unico grande disegno che parte da una pistola regalata dal Giappone, che in mano a due ragazzi marocchini, finirà per sparare ad una turista americana, i cui figli subiranno orrori similmente fatali in Messico.
Ancora una volta, è il destino che unisce questi turbinii di frantumazione spirituale, a riportare l’uomo, che sia americano o marocchino, nella sua condizione premeditata e scritta: la sofferenza. E Inàrritu non conosce il fuori-campo, l’immaginato, in quanto intende portare questa stessa sofferenza in chi assiste all’opera (un po’ come quell’altro Lars Von Trier, in fondo) con continui attacchi ed aggressioni estreme, un’amplificazione del dramma sempre pronta a colpire (ed affondare), a penetrare oltre le immagini mostrate, ad eccitare sensazioni che non possono lasciare indifferenti.
Una macchina da presa che non conosce le dimensioni dell’elisse, sorta di voyeur sadico che gode, vuole far vedere ed incidere a tutti i costi.




ALREADY HERE

_________________
http://www.positifcinema.com/

[ Questo messaggio è stato modificato da: Ahsaas il 29-10-2006 alle 04:01 ]

innaritu conosce benissimo l'ellissi e sa come lasciare che le inferenze creino il film basta che vedi in 21 grammi come l'incidente mortale non viene mai fatto vedere ma è raccontato attraverso il suono fuori campo delle macchine che si scontrano




Ma infatti il Dramma (in tutto il Cinema, credo) non sta mai nel fatto in sè, bensì nelle sue conseguenze. L'incidente mortale, l'atto dell'incidente mortale, ha una carica drammatica (aggressiva) meno forte delle conseguenze. E per conseguenze parlo dei deliri_soffocati_soffocanti_urlaasquarciagola di Naomi Watts dopo. Ed è in questo senso che Inarritu non conosce la dimensione del celato, dell'intimo. Per lui il dolore dev'essere espresso fuori, possibilmente nel modo più incisivo e disturbante.

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[ Questo messaggio è stato modificato da: Ahsaas il 04-11-2006 alle 01:05 ]

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bunch311

Reg.: 20 Gen 2005
Messaggi: 430
Da: roma (RM)
Inviato: 04-11-2006 01:23  
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In data 2006-11-04 01:02, Ahsaas scrive:
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In data 2006-11-03 21:36, bunch311 scrive:
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In data 2006-10-29 03:32, Ahsaas scrive:
posto anch'io le mie intrippanti considerazioni sul film:

BRUISE PRUISTINE: WE WERE BORN TO LOSE

Mentre si sta guardando un film di Inàrritu, si è sempre avvolti, ogni secondo, da una percezione di paura emotiva per quello che sappiamo o intuiamo stia per accadere: la tragedia umana. Estremizzata da una dimensione esplicita ed esplosiva a cui da sempre il filmaker ricorre, in quanto cant(aut)ore del dramma, del dolore che vuole irrimediabilmente toccare, coinvolgere, distruggere lo spettatore.
Così era per le sue precedenti opere, e così è per Babel, che ripercorre casi di fatalità, coincidenze mortali che stavolta non legano più solamente diversi personaggi di un medesimo spazio, bensì diverse nazioni. Una scatola nera che cuce frammenti internazionali per legarli in un unico grande disegno che parte da una pistola regalata dal Giappone, che in mano a due ragazzi marocchini, finirà per sparare ad una turista americana, i cui figli subiranno orrori similmente fatali in Messico.
Ancora una volta, è il destino che unisce questi turbinii di frantumazione spirituale, a riportare l’uomo, che sia americano o marocchino, nella sua condizione premeditata e scritta: la sofferenza. E Inàrritu non conosce il fuori-campo, l’immaginato, in quanto intende portare questa stessa sofferenza in chi assiste all’opera (un po’ come quell’altro Lars Von Trier, in fondo) con continui attacchi ed aggressioni estreme, un’amplificazione del dramma sempre pronta a colpire (ed affondare), a penetrare oltre le immagini mostrate, ad eccitare sensazioni che non possono lasciare indifferenti.
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Ma infatti il Dramma (in tutto il Cinema, credo) non sta mai nel fatto in sè, bensì nelle sue conseguenze. L'incidente mortale, l'atto dell'incidente mortale, ha una carica drammatica (aggressiva) meno forte delle conseguenze. E per conseguenze parlo dei deliri_soffocati_soffocanti_urlaasquarciagola di Naomi Watts dopo. Ed è in questo senso che Inarritu non conosce la dimensione del celato, dell'intimo. Per lui il dolore dev'essere espresso fuori, possibilmente nel modo più incisivo e disturbante.

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qualsiasi film documenta le conseguenza ci fai ben poco con l'atto in se,cmq ho capito cosa intendevi
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"tutti sognamo di tornare bambini,anche i peggiori di noi,anzi forse loro lo sognano più di tutti" il mucchio selvaggio

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Ahsaas

Reg.: 18 Apr 2006
Messaggi: 779
Da: Parma - India (es)
Inviato: 04-11-2006 03:58  
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In data 2006-11-04 01:23, bunch311 scrive:
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Mentre si sta guardando un film di Inàrritu, si è sempre avvolti, ogni secondo, da una percezione di paura emotiva per quello che sappiamo o intuiamo stia per accadere: la tragedia umana. Estremizzata da una dimensione esplicita ed esplosiva a cui da sempre il filmaker ricorre, in quanto cant(aut)ore del dramma, del dolore che vuole irrimediabilmente toccare, coinvolgere, distruggere lo spettatore.
Così era per le sue precedenti opere, e così è per Babel, che ripercorre casi di fatalità, coincidenze mortali che stavolta non legano più solamente diversi personaggi di un medesimo spazio, bensì diverse nazioni. Una scatola nera che cuce frammenti internazionali per legarli in un unico grande disegno che parte da una pistola regalata dal Giappone, che in mano a due ragazzi marocchini, finirà per sparare ad una turista americana, i cui figli subiranno orrori similmente fatali in Messico.
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Ma infatti il Dramma (in tutto il Cinema, credo) non sta mai nel fatto in sè, bensì nelle sue conseguenze. L'incidente mortale, l'atto dell'incidente mortale, ha una carica drammatica (aggressiva) meno forte delle conseguenze. E per conseguenze parlo dei deliri_soffocati_soffocanti_urlaasquarciagola di Naomi Watts dopo. Ed è in questo senso che Inarritu non conosce la dimensione del celato, dell'intimo. Per lui il dolore dev'essere espresso fuori, possibilmente nel modo più incisivo e disturbante.

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qualsiasi film documenta le conseguenza ci fai ben poco con l'atto in se,cmq ho capito cosa intendevi




eh no, ti cito quel capolavoro di Million Dollar Baby:

*SPOILER*

L'atto in sè, in questo senso, corrisponde in primis all'incidente, e poi alla morte di Mo Cuishle. Ma dopo, giusto qualche lacrima trattenuta. Non vediamo un Clint Eastwood disperarsi, sbattere la testa contro il muro, buttarsi fuori dalla finestra, meditare vendetta, urlare bestemmie.
Di più: Clint Eastwood sparisce proprio. Diventa una sagoma. Non sappiamo che fine fa. Se si suicida, o cosa. Lo vediamo semplicemente e lentamente svanire come un fantasma, tra il nulla e l'addio.
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bunch311

Reg.: 20 Gen 2005
Messaggi: 430
Da: roma (RM)
Inviato: 04-11-2006 12:35  
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In data 2006-11-04 03:58, Ahsaas scrive:
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BRUISE PRUISTINE: WE WERE BORN TO LOSE

Mentre si sta guardando un film di Inàrritu, si è sempre avvolti, ogni secondo, da una percezione di paura emotiva per quello che sappiamo o intuiamo stia per accadere: la tragedia umana. Estremizzata da una dimensione esplicita ed esplosiva a cui da sempre il filmaker ricorre, in quanto cant(aut)ore del dramma, del dolore che vuole irrimediabilmente toccare, coinvolgere, distruggere lo spettatore.
Così era per le sue precedenti opere, e così è per Babel, che ripercorre casi di fatalità, coincidenze mortali che stavolta non legano più solamente diversi personaggi di un medesimo spazio, bensì diverse nazioni. Una scatola nera che cuce frammenti internazionali per legarli in un unico grande disegno che parte da una pistola regalata dal Giappone, che in mano a due ragazzi marocchini, finirà per sparare ad una turista americana, i cui figli subiranno orrori similmente fatali in Messico.
Ancora una volta, è il destino che unisce questi turbinii di frantumazione spirituale, a riportare l’uomo, che sia americano o marocchino, nella sua condizione premeditata e scritta: la sofferenza. E Inàrritu non conosce il fuori-campo, l’immaginato, in quanto intende portare questa stessa sofferenza in chi assiste all’opera (un po’ come quell’altro Lars Von Trier, in fondo) con continui attacchi ed aggressioni estreme, un’amplificazione del dramma sempre pronta a colpire (ed affondare), a penetrare oltre le immagini mostrate, ad eccitare sensazioni che non possono lasciare indifferenti.
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Ma infatti il Dramma (in tutto il Cinema, credo) non sta mai nel fatto in sè, bensì nelle sue conseguenze. L'incidente mortale, l'atto dell'incidente mortale, ha una carica drammatica (aggressiva) meno forte delle conseguenze. E per conseguenze parlo dei deliri_soffocati_soffocanti_urlaasquarciagola di Naomi Watts dopo. Ed è in questo senso che Inarritu non conosce la dimensione del celato, dell'intimo. Per lui il dolore dev'essere espresso fuori, possibilmente nel modo più incisivo e disturbante.

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eh no, ti cito quel capolavoro di Million Dollar Baby:

*SPOILER*

L'atto in sè, in questo senso, corrisponde in primis all'incidente, e poi alla morte di Mo Cuishle. Ma dopo, giusto qualche lacrima trattenuta. Non vediamo un Clint Eastwood disperarsi, sbattere la testa contro il muro, buttarsi fuori dalla finestra, meditare vendetta, urlare bestemmie.
Di più: Clint Eastwood sparisce proprio. Diventa una sagoma. Non sappiamo che fine fa. Se si suicida, o cosa. Lo vediamo semplicemente e lentamente svanire come un fantasma, tra il nulla e l'addio.
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infatti il film non è sulla morte e le sue conseguenze ma sulla perdita(che incomincia con la paralisi della swank) e sull'eutanasia come scelta libera di ogni persona(e le sue conseguenze)
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Ahsaas

Reg.: 18 Apr 2006
Messaggi: 779
Da: Parma - India (es)
Inviato: 04-11-2006 14:07  
ma insomma eh. dire che mdb non abbia una valenza "mortale" mi sembra azzardata. Prova a dare la stessa storia a Inarritu e vediamo come lo avrebbe girato. io un'idea ce l'ho. perchè è una questione di (grandi) sfumature registiche eh..

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[ Questo messaggio è stato modificato da: Ahsaas il 04-11-2006 alle 14:10 ]

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Petrus

Reg.: 17 Nov 2003
Messaggi: 11216
Da: roma (RM)
Inviato: 04-11-2006 14:51  
COMUNICAZIONE DI SERVIZIO

per una lettura più agevole:
evitate, soprattutto se in messaggi successivi, di quotare l'intero dialogo. Cercate di limitarvi alla sola parte a cui volete replicare o, soprattutto se di seguito e senza interposizioni, rispondete direttamente
Thanks
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"Verrà un giorno in cui spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate"

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Ahsaas

Reg.: 18 Apr 2006
Messaggi: 779
Da: Parma - India (es)
Inviato: 04-11-2006 15:25  
petrus levati!|
_________________
"E' FINITA" SI DICE ALLA FINE

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follettina

Reg.: 21 Mar 2004
Messaggi: 18413
Da: pineto (TE)
Inviato: 05-11-2006 01:53  
solo una faccetta:

S
P
O
I
L
E
R


secondo voi la giapponesina cosa ha scritto al poliziotto?

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gatsby

Reg.: 21 Nov 2002
Messaggi: 15032
Da: Roma (RM)
Inviato: 05-11-2006 10:58  
Visto, vado a ruota libera. Conterrà spoiler. Brutto e cattivo. Non solo Inarritu e uil suo sceneggiatore si ripetono nella struttura dopo Amores perros, 21 Grammi e (per Arriaga) Le tre Sepolture, ma peggiorano.
Il film come dice il titolo è sull’incomunicabilità, sull’incomprensione.Quattro posti lontani nel mondo legati da un “piccolo” evento. Diciamo che è anche un film sulla globalizzazione, sui “nostri tempi”. Ma come è costruito?
Dopo 10 minuti il concetto viene chiarito: Pitt che non riesce a farsi capire dal proprietario del camioncino, la ragazza è sordomuta e non può parlare, la messicana sta in America e non viene capita la sua difficoltà nel dover badare ai bambini per andare al matrimonio del figlio. Più, come detto, c’è già il titolo. Insomma dopo dieci minuti abbiamo capito che il mondo è tremendo, non ci si capisce nonostante siamo un miscuglio di nazionalità e che le storie di questi personaggi sono tutte cambiate per la stessa ragione (all’inizio pensiamo lo sparo, poi capiamo anche il legame con il giapponese). Poi il nulla. Non c’è evoluzione del concetto, nulla di nulla, nessun altra considerazione. Ed ecco che allora entra in sena la “cattiveria” di Inarritu. Per mantenere desta l’attenzione dello spettatore ecco che lo si fa soffrire. Allora ecco la riproposizione dello sparo a Cate Blanchett: dal momento in cui lei e Pitt sono inquadrati sul pullman abbiamo già capito che è lei a ricevere il proiettile, quindi la suspance è altissima. E lo si mostra, si mostra quando riceve il proiettile, quanto sangue perde, come in quel paese la vecchia debba tenere la ferita premuta, lei che deve pisciare, lei che ha il braccio in cancrena. Logico interesse è capire come finirà, siamo angosciati che dei bambini possano aver rovinato la vita di non si sa quante persone (la Blanchett, Pitt, i figli, i messicani….) ., ma questo è solo un espediente per dirci: i turisti stranieri hanno paura a rimanere nel villaggio perché è straniero e i politici sono lenti perché i rapporti tra queste due nazioni sono difficili. Insomma: il mondo è tremendo, non ci si capisce nonostante siamo un miscuglio di nazionalità. Inarritu monta magoni su magoni, giocando con il montaggio e le scene tragiche per dare drammaticità a questo concetto. Gira su se stesso, si attorciglia, costruisce una sovrastruttura ( già dopo pochi minuti abbiamo i due limiti temporali nel cui spazio si svolge la vicenda: il regalo del fucile e il ricevimento della chiamata di Pitt dei figli americani a casa), al cui interno cerca di mettere più drammaticità possibile. E non critico il forzare gli eventi (anche se la “tragedia” per sua definizione dovrebbe partire da cose “reali”) pur di combinarli, ma di come insista senza alcuna altra ragione, sugli eventi di maggior impatto crudele che possano esistere, e utilizzi un montaggio non sincronizzato perché lo spettatore non perda mai contatto con la narrazione e si chieda sempre come vada a finire. Non c’è una ragione “concettuale”, ma solo un abile espediente. La stesa storia narrata cronologicamente o con un montaggio parallelo, avrebbe rotto dopo mezz’ora. C’è quella furbizia in questo film, che non sopporto. La furbizia che stava anche nel pessimo Crash di Haggis dello scorso anno: trovato un tema (là era il razzismo) lo si ripropone in tutti i modi e in tutte le salse, dicendo che è attuale, che riguarda tutti e facendo vedere a che conseguenze tragiche possa portare

Per evitare che qualcuno possa obiettare che io non abbia capito qualcosa, ricostruisco il film. Sull’incomunicabilità le scene di Inarritu sono: la contrattazione del fucile (in questo caso la comune lingua giova ad entrambi, però il senso della discussione è negativo perché porterà allo sparo alla Blanchett) Pitt e La Blanchett che non riescono più a parlarsi dopo la morte dell’infante (altro mttone gratuito), Pitt che non riesce a fermare il camioncino, i turisti occidentali che hanno paura del villaggio perché è un villaggio straniere, arabo, i rapporti diplomatici USA-Marocco che evitano un presto soccorso della Blanchett; tutto quel che riguarda la triste ragazza sordomuta, la tata messicana e il nipote alla frontiera con il poliziotto (anche lì c’è diffidenza) più altre cose che adesso non ricordo. Non per forza non ci si capisce, alcune volte ci si capisce, ma valeva la pena non capirsi.
L’ultima scena: in verità la ragazza giapponese ha ucciso la madre con il fucile, o comunque l’ha vista uccidersi con quel fucile. Il padre, per proteggerla (dalla polizia o dal ricordo ossessivo che avrebbe provocato la visione di un fucile), ha regalato il fucile al marocchino. Ecco quindi che la storia di quello sparo in Marocco nasce perché quella ragazza è nata sordomuta, cosa che non si sa come ha portato alla morte della madre della ragazza (suicidata per il dispiacere, uccisa per qualche oscura ragione legata alla psicolabilità della ragazza). Un legame difficile che Inarritu fa in modo che non tutti possano coglierlo, o comunque che rimane sfumato. Ognuno così ci vede quello che vuole, o pensa che chissà cosa si nasconda dietro che questo regista così “alto” ci stia dicendo (così come non vediamo il messaggio dato al poliziotto). Ed invece ci dice la stessa cosa da due ore, identica: il mondo è tremendo, non ci si capisce nonostante siamo un miscuglio di nazionalità, di tecnologie per comunicare e per le informazioni. Un film brutto, e odiosamente cattivo, uno specchietto per le allodole: dentro c’è giusto una frase con tanto, tantissimo nulla.


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Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un solo momento : quello in cui l'uomo sa per sempre chi è

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gatsby

Reg.: 21 Nov 2002
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Da: Roma (RM)
Inviato: 05-11-2006 11:30  
quote:
In data 2006-10-29 03:32, Ahsaas scrive:
Ancora una volta, è il destino che unisce questi turbinii di frantumazione spirituale, a riportare l’uomo, che sia americano o marocchino, nella sua condizione premeditata e scritta: la sofferenza. E Inàrritu non conosce il fuori-campo, l’immaginato, in quanto intende portare questa stessa sofferenza in chi assiste all’opera con continui attacchi ed aggressioni estreme, un’amplificazione del dramma sempre pronta a colpire (ed affondare), a penetrare oltre le immagini mostrate, ad eccitare sensazioni che non possono lasciare indifferenti.


a parte che, come detto, la tragedia nasce da cose vicine, e così non è qui perchè per quanta immaginazione si possa avere, una famiglia sfigata come quella di Pitt non esiste manco nei film vacanzier di Chavy Chase, ma poi questa sofferneza vive sul mostrarsi.Ma se ti riprendo per 10 minuti dei bambini soffernete che non mangiano per mesi,mentre gli vengono i crampi allo stomoca, fanno la bava, e poi ti mostro coime il carico di cibo che doveva arrivare faccia un incidente, e che il pozzo sia andato distrutto per colpa di una pallonata di Marc Lenders, grazie al cavol oche mi dispiace. Che bravura c'è nel fare questp. Far soffrire non significa comunicare. Quetso è un film poco meno che impermeabile.

quote:
In data 2006-10-29 03:32, Ahsaas scrive:
Una macchina da presa che non conosce le dimensioni dell’elisse, sorta di voyeur sadico che gode, vuole far vedere ed incidere a tutti i costi. Dunque, un Cinema che rifiuta le intuizioni, la personalizzazione spettatoriale, in quanto obbliga a percorrere un’unica strada senza vie di trattative, di dialettica verso l’altra parte del telone bianco. E se in ciò sta il limite (se non il difetto) dell’autore di 21 grammi, in esso risiede anche la sua forza e la sua unicità, le emozioni rarefatte che riesce a dare il suo Cinema.


Secondo me ti ei reso conto hce ti si sta prendendo in giro, ma visto che non riesci a pensare che quella sofferenza sia furba, allora lo giustifichi.Su unicità sono d'accordo (c'è anche l'Haggis di Crash, ma soprassediamo) su forza proprio no. E' un modo di fare film questo che prenderà molti spettatori, ma con (una) considerazioni(/e) banali(/e) confenzionato(/a) come un "guarda che cavolo ti sto dicendo di serio"(in verità il nulla).
quote:
In data 2006-10-29 03:32, Ahsaas scrive:

C’è chi vede in questo procedimento un qualcosa di “dannoso perché cerca di fregarti e se non ci si protegge, ci riesce” (Simone Emiliani -Sentieri Selvaggi). Ma nel modus operandi di Inàrritu non risiede forse proprio quella natura stessa del Cinema come illusione e coinvolgimento tramite la falsificazione, e dunque, tramite la fregatura?



Cioè, prima dici che Inarritu mostra tutto, poi invece che in lui risiede l'illusione. Guarda che l'illusione del cinema non è la fregatura di Inarritu. Perchè Inarritu non illude, anzi mostra tutto e ci si adagia su questo.Il supo è un cinema reiterato che come hai detto te non lascia spazio all'immaginazione. E' un cinema prepotente, è contro gli spettatori, gode nel fargl idl male. Non sono completamn6e d'accordo con Emiliani perchè il discorso non è sul proteggersi o meno (ci si può anche lasciar trasportare e star male, di per sè la cosa non è un male), ma sul rendersi conto che oltre a farti soffrire Inarritu e Arriaga non ti dicono nulla. Nulla i nulla. Non è una sofferenza motivata (soffri anche con MDBse non ti proteggi), ma fine a se stessa.


quote:
In data 2006-10-29 03:32, Ahsaas scrive:
Babel è l’opera completa di uno degl’autori (sempre) più interessanti del panorama internazionale, con momenti di una bellezza poetica che va dall’iper-realismo al puro trip oniricizzante; da ricordare la bellissima scena della discoteca giapponese, con quelle luci in continuo flash vibrante e quell’alternare le visioni oggettive e soggettive della Kikuchi



Un regista che fa tre film con la stessa struttura, con lo stesso sceneggiatore, tutti allo stesso modo a mio avviso non è interssante.Non provoca interesse, non si sa rinnovare, E' fermo su se stesso e peggiora film dopoi film.
Il trip della sordomuta è la solita soggettiva di chi si sballa, davvero una cosa banale che ci si aspetta subito appena comincia a spintonarsi con gli amici.Oltretutto anche questo fine a se stesso.
Babel, per carità.
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gatsby

Reg.: 21 Nov 2002
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Da: Roma (RM)
Inviato: 05-11-2006 11:31  
quote:
In data 2006-11-01 18:46, Schizobis scrive:
Ho visto sia Amores perros che 21 grammi.
Il primo mi era piaciuto anche se si cominciavano a vedere gli eccessi melodrammatici di 21 grammi.
21 grammi è uno di quei film che detesto per il modo disonesto di tirare colpi bassi allo spettatore, insistendo sul tasto retorico.
Che faccio, rischio e vado a vedere Babel, sperando di ritrovare l'autore della prima parte del film Amores Perros?


quote:
In data 2006-11-02 10:46, sloberi scrive:
Anch'io sono nella situazione di schizo e gatsby; però faccio un ragionamento diverso. Ovvero, ho talmente odiato 21 grammi che non posso che dare un'altra possibilità ad un regista che, con Amoresperros, mi ha colpito come raramente mi era successo di fronte ad uno schermo.





salvatevi.

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E la nuvola chiese alla pioggerellina: "E tu, cosa farai da grandine?".

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gatsby

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Inviato: 05-11-2006 11:44  
quote:
In data 2006-11-04 03:58, Ahsaas scrive:
...



Comunque, ripeto, secondo me questo film se ci pensi bene non ti è piaciuto.ti stai facendo ancora suggestionare dl fatto che credo, ti abbia coinvolto, ma fra un paio di mesi, ripensando a Babel dirai che (questa si)è stata giusto l'illusione di un bel film.
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AlZayd

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Anch'io ho detestato abbastanza 21 grammi... ma non sono ancora al pregiudizio, visto che Amores Perros, tutt'altro che perfetto, mi è molto piaciuto. Forse perchè antitetico ai dettami hollywoodiani...

Il regista di talento ne ha da vendere.., speriamo non anche nel significato più levantino del termine.
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Ahsaas

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Inviato: 05-11-2006 16:16  
per gats: certo che Inarritu mostra tutto. E in lui risiede l'illusione. Non è contradditorio. Mostra tutta l'illusione, in verità. Perchè il Cinema è solo e sempre unicamente illusione, non scordiamocelo. E più questa illusione riesce a "fregare" lo spettatore trasportandolo in meandri di emo-frantumazioni-percettive, più è Cinema potente, a mio parere. Inarritu riesce a colpire con l'illusione proprio per il suo mostrare tutto.
Ho capito la tua disapprovazione. Anche se ovviamente sono nella fazione opposta. In fondo è la solita critica che fanno ad Inarritu dai tempi di Amores Perros (e a Von Trier, per citarne un altro).
Come sempre, caso o non caso, ad ognuno il suo.
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Ahsaas

Reg.: 18 Apr 2006
Messaggi: 779
Da: Parma - India (es)
Inviato: 05-11-2006 16:28  
quote:
In data 2006-11-05 11:44, gatsby scrive:
quote:
In data 2006-11-04 03:58, Ahsaas scrive:
...



Comunque, ripeto, secondo me questo film se ci pensi bene non ti è piaciuto.ti stai facendo ancora suggestionare dl fatto che credo, ti abbia coinvolto, ma fra un paio di mesi, ripensando a Babel dirai che (questa si)è stata giusto l'illusione di un bel film.




ah, il film mi è piaciuto, pure tanto. e anche quando criticavo Inarritu (per 21 Grammi) era tutt'altro che per le sue aggressioni allo spettatore. Ben vengano le aggressioni perdio!

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