Fino a qui tutto bene
Secondo film per l’italo-inglese Roan Johnson, dopo “I primi della lista” (2011). In “Fino a qui tutto bene” il regista analizza un momento particolare e sicuramente tanto caro a milioni di studenti universitari, ossia l’addio all’appartamento condiviso durante gli anni passati sui libri. Ricordi che scorrono tra le pagine della loro vita, amori e aspettative future che vanno a scontrarsi sul presente e sulla scomparsa di un amico in circostanze da chiarire in un incidente d’auto.
Il lungometraggio è una triste fotografia sulla vita e sulle difficoltà che si incontrano nell’affrontare cambiamenti spesso necessari. Amicizie si sfaldano, vecchi rancori emergono, ma alla fine dei giochi la cosa più importante è comprendere i propri errori.
La pellicola purtroppo ha dei limiti evidenti, specie nell’eccessivo uso del dialetto che può piacere ma anche stressare lo spettatore durante la visione. Battute ripetitive e stereotipate, come l’ormai classico fascista col giubbetto in discoteca, non rendono godibile il prodotto fino in fondo. La narrazione si svolge in tre giorni, un ultimo weekend dopo il quale alcuni partiranno all’estero per trovare lavoro, altri resteranno in città e altri torneranno a casa dai propri genitori.
Il nostro paese purtroppo è tristemente ridotto in questo modo. Il team young, ma non troppo, comprende Alessio Vassallo, Paolo Cioni, Silvia D’Amico, Melissa Bartolini e Guglielmo Favilla.
Il regista si affida ad un cast tecnico fatto da amici di vecchia data, ma la cosa debole è la noia dei dialoghi presente sin dai primi fotogrammi e compagna di viaggio per l’intera visione.
L’opera seconda di Johnson, dopo l’apprezzato “I primi della lista”, non riesce a essere profonda ed interessante, specialmente la regia è molto scolastica e quasi amatoriale. Il risveglio dagli anni universitari e dalle sbornie è dipinto con tristezza, quasi depressione, verso la responsabilità e la vita adulta.
L’opera è stata realizzata con un budget low cost e il finale con i remi nella stessa direzione vogliono essere un invito per affrontare la situazione sociale attuale.
Purtroppo le intenzioni, lodevoli sicuramente, non vengono ripagate da un prodotto superficiale, noioso e sicuramente di scarsa qualità tecnica. La crisi c’è ed è reale, ma se la reazione del cinema italiano sta in opere come questa allora il risultato finale di un costante declino sarà solo la naturale conseguenza.
La frase:
"Nessuno è riuscito a capire il dolore di Michele, io l’ho compreso maggiormente e sono qui da pochi mesi".
a cura di Thomas Cardinali
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