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Fine pena mai
Banco vince, si sa. Giocare d’azzardo con la malavita per la bella vita di locali notturni, donne, cocaina, champagne - e sangue - conduce dritto dritto al classico iter autodistruttivo che non esita a coinvolgere gli affetti più stretti: sfrenata ascesa con vertigini d’onnipotenza (“eravamo gli dei. Eravamo immortali”) e rovinosa caduta.
Davide Barletti e Lorenzo Conte rappresentano i 2/4 della Fluid Video Crew (per la prima volta, e per l’occasione, firmano individualmente), collettivo nato nel centro sociale romano Pirateria di Porta, divenuto testimone del “movimento antagonista” e artefice di cortometraggi, serie televisive e documentari. I registi - impressionati dalla qualità letteraria di un diario redatto lungo 15 anni di detenzione dura in regime 41 bis - hanno avuto carta bianca dal protagonista reale, basandosi anche sui racconti di sua moglie, con cui sono entrati in contatto. La sceneggiatura - non scritta a tavolino - proviene quindi da quanto raccolto, e ciò che non rientra nel film sarà incluso in un doc incentrato sulla donna.
Con distacco aiutato dal taglio del libro stesso, la violenza non viene esplicitata ma costruita su tensione - soprattutto nella cena al ristorante – e facili paralleli (i morti sospesi sott’acqua, il rosso dei campi di papaveri o degli incappucciati durante la processione cattolica). Il carcere dell’Asinara viene ripreso ormai in disuso, sostituito da una prigionia mentale e precedente (Perrone fa blindare la propria casa con vetro antiproiettile e sbarre, come un autorecluso in libertà), ma il racconto resta indeciso tra psicologia e azione, anche propendendo per la prima. "Fine pena mai", pur capace di aperture visive di suggestione, langue in tempi morti, per lo più spazialmente angusto e avaro. Questo può rendere con efficacia una condizione di cattività esistenziale, però è anche penalizzante per lo spettatore. Ad ogni modo, proprio perché nei lavori della FVC riconosciamo un qualche talento, l’esordio nella finzione lascia ben sperare.
La frase: "Il problema era avere sempre di più, una vita al massimo".
Federico Raponi
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