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Fate come noi
Dopo numerose avversità e ben due anni di attesa, l'opera seconda di Francesco Apolloni riesce finalmente a vedere la luce. "Fate come noi", infatti, non sembra aver avuto vita facile: nato come piccolo film indipendente, a tratti quasi anarchico, è stato in realtà più volte sul punto di morire, costretto a procedere a singhiozzi nel corso degli anni perché perennemente in cerca di un produttore disposto a correre dei rischi evidenti. Ma alla fine questo "piccolo miracolo, come un fiore nel deserto" - per usare le parole di uno dei suoi interpreti, Ricky Tognazzi - è riuscito a compiersi, probabilmente forte della grande voglia di Apolloni di raccontare e di fare, appunto.
Sì, perché il 'fate' del titolo sta proprio ad indicare il 'fare ad ogni costo' (magari osando, pur senza la certezza del successo...) rispetto ad un voler aspettare necessariamente 'l'occasione'. Ma la parola nasconde nel suo senso una ambivalenza, perché 'fate' può essere inteso anche come 'creature magiche', alle quali il regista sembra credere davvero, immaginando che siano in mezzo a noi e che tutto stia nel saperle riconoscere...
In 'Fate come noi' Apolloni gioca molto con le dicotomie, perché quella del titolo non è di certo l'unica: due sono gli episodi di cui si compone il film, due sono i personaggi principali, due le date particolari in cui si sviluppano le vicende, due i temi centrali che si rincorrono lungo tutta la narrazione. Roma, invece, con le sue mille sfaccettature fa da sfondo e collante dell'intera pellicola.
Il primo episodio si svolge nel giorno di Ferragosto, quando la Capitale diventa una realtà di altri tempi, completamente vuota, silenziosa, piatta, sospinta da un senso di solitudine che pervade strade, negozi, case e le poche persone che sono costrette a restare in città. Come la signora Giustina (una straordinaria novantenne che risponde al nome di Pupella Maggio), che triste e sola continua a vivere la sua vita nell'amarezza di non contare più nulla per la sua famiglia, e il Pechino (Mauro Meconi), diciottenne insicuro e squattrinato che, non avendo i soldi necessari per andare in vacanza, non raggiunge a Rimini il suo amico Bove (Francesco Venditti) - suo esatto opposto nel modo di essere e di apparire - ma in compenso scoprirà l'affetto di una 'nonna'. Nella seconda parte del film, invece, si narra ciò che accade nelle vite del Bove e del Pechino durante la vigilia di Natale, destinati entrambi ad incontrare due persone di un ceto molto più elevato (Agnese Nano e Arianne Turchi) le quali, completamente oppresse da una solitudine che stride fortemente con il caos, la folla e l'aria di festa che si respira in una Roma natalizia e spumeggiante, si aggrapperanno ai due ragazzi con forza ed un pizzico di tenera incoscienza.
Solitudine, dunque, ma anche solidarietà e affetto; sono questi i due concetti fondamentali che Apolloni sembra voler affermare con la sua opera, in cui sono mescolati assieme centro e periferia, generazioni distanti, strati sociali diversi così da ottenere un film che sembra veicolare un chiaro messaggio: un gesto d'affetto non è poi così superfluo come appare e le solitudini non sempre dividono le persone. E le fate esistono.
Laura Spina
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