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E' stato il figlio











Con le fattezze dell’Alfredo Castro di "Tony Manero" (2008), il trasandato e solitario Busu, in attesa del suo turno all’interno di un ufficio postale, introduce la storia della famiglia Ciraulo, composta da sei persone.
E’ attraverso questa sorta di grottesco Forrest Gump che la pellicola di Daniele Ciprì – autore, insieme a Franco Maresco, de "Lo zio di Brooklyn" (1995) e "Il ritorno di Cagliostro" (2003) – ci porta a conoscenza dell’assurdo nucleo comprendente il capofamiglia Nicola, con il volto dell’infallibile Toni Servillo, la moglie Loredana, ovvero la Giselda Volodi di "Sotto il vestito niente -L’ultima sfilata" (2011), i figli Tancredi e Serenella, rispettivamente interpretati da Fabrizio Falco e Alessia Zammitti, e i nonni Fonzio e Rosa, cui concedono anime e corpi Benedetto Raneli e Aurora Quattrocchi.
Assurdo nucleo costretto a vivere in condizioni precarie in uno squallido quartiere della periferia di Palermo, dove, di ritorno da una gita al mare, la piccola Serenella viene colpita a morte da un proiettile vagante destinato a un regolamento di conti tra bande rivali; spingendo i familiari disperati, su consiglio dell’amico e vicino di casa Gialacone alias Giacomo Civiletti, a chiedere un risarcimento che lo Stato riconosce alle vittime della mafia.
Il tutto, partendo dall’omonimo romanzo di Roberto Alajmo, per concepire circa novanta minuti di visione dall’indefinita ambientazione temporale che, ricordando non poco la vena di surreale neorealismo tipica dei lavori firmati da Sergio Citti, fa dei fatiscenti interni ed esterni l’azzeccato scenario –quasi fantascientifico – in cui immergere un microcosmo atto a sintetizzare l’Italia della crisi, della corsa al lusso, dei debiti e della conseguente caduta nella morsa dell’usura.
L’Italia (o il mondo) in cui la famiglia sembra essersi trasformata nell’inevitabile vittima del capitalismo, in questo caso simboleggiato dalla Mercedes che Nicola acquista come segno di ricchezza, unico status che la gente sembra rispettare.
Nel corso di un vero e proprio gioiellino che, abilmente giostrato tra umorismo e amarezza, Ciprì gestisce con maestria; occupandosi anche della splendida fotografia e sfoggiando un’ispiratissima regia che non manca di conferire un certo lirismo generale all’insieme.

La frase:
"Serenella era tutta la mia vita".

a cura di Francesco Lomuscio

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