End of Watch
Ayer scrive e dirige un film che attinge molto dal passato. Cresciuto in un quartiere poco raccomandabile di L.A., dove le sparatorie e gli omicidi sono all’ordine del giorno, tenta di riportare sullo schermo lo scontro tra sbirri e malavita e per farlo sceglie una via filmica nel mezzo tra il mockumentary e il crime-drama. Entrambe si sono dimostrate strade vincenti negli ultimi tempi negli States – soprattutto in televisione - e il regista lo sa: attinge, infatti, a piene mani nella camera a mano amatoriale inventando soluzioni drammatiche che un po’ stentano a reggerne il peso. C’è un corso di filmaking cui Brian partecipa per cui va in giro sempre con una videocamera, ci sono molte scene davanti alla macchina della coppia di poliziotti dove, ed è vero, è piazzata una camera per poter consegnare rapporti documentati; ci sono telecamere di sorveglianza e gli stessi malviventi messicani hanno una hand-cam con cui amano riprendere le stragi che compiono. Il crimine portato sullo schermo da Ayer è pienamente cinematografico: è un mondo colmo di dinamiche di sguardo e voyerismo. Di cacciatori e prede. I cacciatori sono i poliziotti che lottano per i buoni e sparano ai cattivi. Gli stessi protagonisti, Taylor e Zavala, amano ripeterlo: buoni contro cattivi.
Confine da non superare mai, segnato dall’onore e dal legame per il "partner". Il conflitto "good versus evil" è riproposto con tale veemenza che si corre il rischio di considerare la gran parte della filmografia degli ultimi trent’anni pura retorica. L’onore, la giustizia, l’amicizia, la famiglia sono parole scritte tra le righe del film e che nel nostro immaginario purtroppo si avvicinano spesso ad altre come mafia, cameratismo e nonnismo. Nel cinema si coniugano in altre forme: antica Roma, western, e war-movie pre-Vietnam. Fenomeni lontani anni e anche di più nel nostro immaginario cine-voro. Forse Ayer vuole solo dare un nuovo (o forse molto antico) punto di vista sulle forze dell’ordine, a Los Angeles South Central, e sul loro "sporco" lavoro quotidiano. Forse il nostro palato è molto delicato quando si trattano temi che facilmente scadono nella retorica. Di fatto il film corre gravemente questo rischio. Per evitarlo basta goderne le qualità registiche, fotografiche e narrative, elementi nei quali il film tocca un notevole livello e dimenticare fastidiosi pruriti durante la visione.
La frase:
"Noi siamo la polizia".
a cura di Matteo Brufatto
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