Elysium
Abbiamo anche l’ottimo Sharlto Copley che già ebbe modo di dirigere nel suo sorprendente lungometraggio d’esordio “District 9” (2009) all’interno dell’opera seconda del sudafricano Neill Blomkamp, il quale, in questo caso, non si avvale più della produzione dello Spielberg neozelandese Peter Jackson.
Però, con una idea di partenza che può richiamare alla memoria quelle alla base di “1997: Fuga da New York” (1981) e del suo sequel “Fuga da Los Angeles” (1996), entrambi di John Carpenter, il vero protagonista è un rasato Matt Damon nei panni di Max, comune mortale che, in un mondo del 2154 diviso tra multimilionari che vivono sulla nuovissima nave spaziale Elysium e tutti gli altri costretti ad alloggiare su un pianeta Terra sovrappopolato e allo stremo, decide d’intraprendere una pericolosa missione per raggiungere l’ultra-moderna “oasi dei ricchi” nel tentativo di riportare l’uguaglianza tra i due mondi in forte contrapposizione.
Quindi, è facile intuire che sia anche il fondamentale sottotesto socio-politico a risentire del cinema carpenteriano; man mano che, tra scontri con le forze armate ed operazioni chirurgiche che provvedono a fornire l’indispensabile tocco da incubo futuristico su celluloide, si respira, inoltre, un’aria non molto distante da quella dell’ingiustamente poco ricordato “2013-La fortezza” (1992) di Stuart Gordon.
Ed è alla vincitrice del premio Oscar Jodie Foster, invece, che spetta il compito di concedere anima e corpo a Delacourt, Segretario di Stato dell’astronave del titolo intenta a rafforzare le leggi anti-immigrazione; nel corso di quasi due ore e mezza di visione che, appunto, si rivelano pienamente in grado di intrecciare la fantascienza d’azione con importanti tematiche sociali, come Blomkamp aveva già saputo fare tramite la sua succitata opera prima.
Quasi due ore e mezza di visione che, ovviamente tempestate di eccellenti effetti speciali, individuano uno dei loro maggiori punti di forza nell’ottimo montaggio per mano di Julian Clark e Lee Smith, cui dobbiamo, senza dubbio, buona parte della notevole capacità di coinvolgimento di un’operazione non priva di cattiveria e violenza... tanto da spingerci a pensare che il suo autore possa tranquillamente essere considerato uno dei degni eredi del lodevole Paul Verhoeven, regista di “Robocop” (1987) e “Atto di forza” (1990).
La frase:
"Tutti abbiamo qualcosa di speciale, Max".
a cura di Francesco Lomuscio
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