E io non pago
Per il regista Mario Mattoli, "E io pago" diceva il mitico Totò nell’altrettanto mitico "Signori si nasce" (1961); mentre, per il maresciallo della Guardia di Finanza Maurizio Mattioli, "E io non pago" sembra essere il credo dei furbetti italiani che si trovano in un bellissimo centro turistico sulla Costa nord orientale della Sardegna dove, affiancato dal brigadiere Maurizio Casagrande, viene inviato in avanscoperta a preparare "bliz antievasione".
Furbetti comprendenti, tra gli altri, l’ex compagno di scuola Jerry Calà, ora proprietario di un frequentatissimo locale del posto e con il quale ha ancora in sospeso un conto relativo a una storia di donne risalente all’ultimo anno di liceo, una truffaldina Valeria Marini, alle prese con fatture tutt’altro che fiscali, e il losco commercialista Enzo Salvi, autentico maestro della violazione finanziaria; senza contare il chirurgo estetico Ninì Salerno e il pastore sardo Benito Urgu, il quale afferma che le tasse gli vogliono portare via le pecore ed i soldi, che nasconde dentro le sue forme di formaggio.
E, sotto la regia dell’Alessandro Capone che mosse i suoi primi passi cinematografici nell’horror (diresse "Streghe" e sceneggiò "Thrauma" di Gianni Martucci e "Camping del terrore" di Ruggero Deodato), è lo stesso Calà a firmare il soggetto di questo instant movie che, introdotto da una colonna sonora a tratti simile a quella di "Febbre da cavallo" (1976), attinge dagli odierni fatti di cronaca per ironizzare su uno stivale tricolore di Mario Monti tempestato di onorevoli con il vizietto delle belle donne, tanto discussa crisi e individui affetti da una vera e propria allergia per la battitura degli scontrini.
Un instant movie che, più che alla grande commedia interpretata dal succitato protagonista di "Miseria e nobiltà" (1954), sembra guardare a quella degli anni Sessanta spesso definita di serie b, ma ricca di validi caratteristi.
Un instant movie in cui il solo Mattioli – che deve anche vedersela con il buddhismo di Casagrande – provvede in più di un’occasione a regalare sano divertimento allo spettatore, sebbene il look generale più vicino, appunto, alla commedia che al film comico, non sembri permettere all’insieme di puntare in maniera principale sulla risata.
Infatti, di momenti per ridere non ve ne sono molti, ma la piacevole ora e cinquanta circa di visione, non priva di punte di amarezza, finisce per risultare sufficientemente coinvolgente e tutt’altro che noiosa.
Merito, con ogni probabilità, del buon ritmo narrativo e della sapiente gestione degli attori, ma anche dell’interessante idea di partenza e, soprattutto, della capacità di raccontare su celluloide un’Italia volgare senza scadere in volgarità.
Pregio non da sottovalutare, di questi tempi.
La frase:
"I soldi vanno e vengono, i miei purtroppo sono andati".
a cura di Francesco Lomuscio
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