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Egyetleneim
Un ragazzo e una ragazza sono uno di fronte all'altro. Si scambiano battute surreali "Tu chi sei? - Una puttana e tu? - io un pedofilo". È un primo incontro? È un addio tra due persone che dopo essersi illuse a vicenda si mostrano per la prima volta per quello che sono? Forse tutte queste risposte sono valide, nel curioso film del regista ungherese Gyula Nemes, presentato alla 63° Mostra del cinema di Venezia nell'ambito della settimana dell critica.
Egyetleneim, titolo ungherese che si può tradurre con "Le mie uniche e sole", è un film in cui l'erotismo, la passione per le donne e per un fascino nei confronti del sesso sospeso tra pornografia e stupore infantile si fondono in una cifra stilistica ai limiti del paradosso e dell'isteria. Il montaggio è rapido, frenetico, spesso simile ad una serie di fotografie che scorrono velocemente l'una dopo l'altra senza soluzione di continuità, ai limiti del subliminale ed in forma non lineare, sino a delineare una sorta di spirale che avvolge il protagonista all'interno della sua ossessione. Eppure questa tecnica, che sembra richiamare prepotentemente il video musicale riesce a comporre una struttura narrativa facilmente comprensibile, mantenendo al contempo un forte senso di straniamento, che rimane vivo per la breve durata della pellicola (76 minuti). D'effetto nei titoli di testa, l'uso di specchietti in cui vengono mostrate le molte ragazze con cui il personaggio principale entrerà in contatto, particolare che grazie anche ad una musica inquietante e dalle sonorità sporche crea subito un sinistro senso di disagio. Molte riprese sono all'esterno, alla luce del sole e nella splendida cornice della Budapest di oggi, ripresa in alcuni dei luoghi più pittoreschi ed evocativi. Mentre il giorno è il territorio di caccia del "ragazzo" (non viene mai chiamato per nome), la notte è il luogo delle sue nevrosi, un paesaggio della mente oscuro e privo di vie d'uscita, alla costante ricerca di una misteriosa spirale di luce.
Film curioso e di qualche interesse nella sua sperimentalità e nella ricerca di soluzioni narrative insolite, ma proprio per il suo essere estremo rischia di risultare ellittico, ai limiti dell'incompletezza.
La frase: "La vita in fondo è una spirale di luce".
Mauro Corso
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