E guardo il mondo da un oblò
Prende il titolo dalla nota frase che apre la storica "Luna" di Gianni Togni l'ultima fatica di Stefano Calvagna - regista, tra l'altro, di "Senza paura" (1999) e "L'uomo spezzato" (2005) -, che, concepita a bassissimo costo in HDV, con il fondamentale supporto degli alunni della scuola di cinema romana di via Panisperna, ha finito per aggiudicarsi il premio per la migliore colonna sonora, eseguita proprio dal famoso cantautore, presso il Monte-Carlo Film Festival.
A metà strada tra "My beautiful laundrette" (1985) di Stephen Frears e "Clerks-Commessi" (1994) di Kevin Smith, il lungometraggio si svolge interamente all'interno della lavanderia in cui ha appena trovato lavoro il giovane Mike, con il volto dell'esordiente Luca Seta, il quale, abbandonata l'università e mollato dalla fidanzata, scoprirà che la gente, più che dei panni sporchi, ha bisogno di comunicare.
Infatti, attraverso uno stuolo di volti più o meno noti del grande e piccolo schermo, dai veterani Tiberio Murgia e Andy Luotto agli stracultiani Nicola Di Gioia e Elena Bourika, passando per Amedeo Goria e l'attore e stuntman Massimo Vanni (lo ricordate, al fianco di Tomas Milian/Nico Giraldi, nei panni dell'assistente Gargiulo?), davanti ai suoi occhi si sussegue grottescamente una serie di bizzarri sconosciuti che, come lui, faticano a vivere, in cerca di un'identità e di conferme.
Quindi, tra vecchietti soldati, manager adulteri, studenti di psicologia delle differenze di genere sessuale (!!!), prostitute, ragazze armate e lavoratori dipendenti in cerca di trans per fare giochi di società nei fine settimana (!!! 2), ci sarà modo di apprendere ironicamente che il "due di picche" è una responsabilità dell'uomo, che il mondo attuale è in guerra a causa della fellatio effettuata da Monica Lewinsky a Bill Clinton e, soprattutto, che le grandi cose, nella vita, non vanno mai fatte da soli; finché non entra in scena Laura, interpretata da Serena Fragetti, ragazza che va in giro in tuta da sub per proteggersi dalle allergie, mentre c'è anche il tempo di lanciare una frecciatina alla moderna televisione tricolore, per mezzo della divertente frase: "Costantino una volta era il nome di un imperatore romano, adesso invece se lo porta addosso un deficiente depilato".
Forse la carne al fuoco, cui si aggiunge anche un'escursione nella Vecchia America di "Gangs of New York", risulta leggermente in eccesso ed il prodotto finale, in parte penalizzato da una recitazione non sempre convincente, appare più adatto ad una fruizione televisiva o presso i festival specializzati; ma, al di là dell'esilarante superficie, Calvagna - che si ritaglia anche un ruolo nella parte di un rappresentante - trasmette in maniera efficace il triste e veritiero ritratto di una società costituita da tanti "piccoli" individui, separati tra loro a causa della grossa confusione comunicativa generatasi nel periodo a cavallo tra il secondo ed il terzo millennio, lasciando intuire, infine, un intelligente e coraggioso incitamento alla riscoperta di un certo seppellito tradizionalismo.
E ciò che permette al tutto di funzionare, è in particolar modo lo script infarcito di dialoghi semplicemente costruiti su argomentazioni appartenenti al quotidiano vivere di ogni comune mortale; praticamente lo stesso stratagemma adottato, con i dovuti distinguo, da Sua Maestà Quentin Tarantino.

La frase: "Mia nonna diceva sempre: la vita è come un cestello di una lavatrice: gira, gira e nessuno sa quando si fermerà".

Francesco Lomuscio

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