Eagle Eye
Dopo aver riattualizzato il concetto di "La finestra sul cortile" (tanto che sono stati citati per plagio) per Disturbia, il trio Steven Spielberg (soggettista e produttore), DJ Caruso (regista) e Shia Labeouf (attore) riprova la stessa formula prendendo stavolta spunto da Stanley Kubrick (non citiamo il film particolare visto che buona parte della suspanse si gioca su questa sorpresa). Da citare come ispirazione principale ci sarebbe però anche "Nemico Pubblico": all’inizio una pubblicità all’Atto di forza (ok, è l’ultima delle citazioni) e cioè, un’informazione che il nostro protagonista ascolta senza rendersene conto dalla radio, quella che ormai anche i cellulari spenti siano una sorta di cimici che rendono ascoltabili qualsiasi conversazione che gli si svolga intorno, già rende chiaro come tutto il film si baserà sul conflitto tra la privacy e la sicurezza nazionale.

Il richiamo, nel prologo, alla guerra mediorientale ne è dopotutto la giustificazione morale. I conflitti su vasta scala hanno da sempre stimolato la tecnologia, e di riflesso, consentito un maggiore controllo interno dei propri cittadini. Il concetto è già stato esplorato da tanti libri (da 1984 in poi) e film, ma negli ultimi tempi è stato sempre più fonte d’ispirazione per il cinema contemporaneo. In "Eagle eye" è da una parte la spina dorsale della storia, dall’altra un ottimo espediente per costruire situazioni di action movie (la fuga di innocenti ingiustamente colpevoli è un cavallo spesso vincente per sceneggiature in cerca di suspanse) e quel mistero che tiene sulle spine fino alle conclusive rivelazioni (Scusate... avevamo detto niente più rimandi ad altri film, ma la costruzione del finale è troppo simile a "Minority report" per non ricordarlo). Se poi ci aggiungete quel senso di impotenza davanti la forza "del cattivo" che fa attendere il catartico epilogo come un sospiro dopo minuti di apnea, allora si potrà comprendere come il coinvolgimento sia garantito. Nonostante però gli effetti speciali a go-go, gli inseguimenti ovunque e in tutti i modi e i vari rimandi all’attualità, DJ Caruso non riesce a realizzare un prodotto visivamente e intellettualmente accattivante (ed ha anche qualche incongruenza narrativa, ma nulla di grave). Tanto è preciso nella confezione, nei protagonisti (anche se assieme la coppia Labeouf/Monaghan non sprizza un’alchimia da tramandare), quanto appare eccessivamente costruito, privo di intuizioni o volontà di parlare realmente e particolarmente (attraverso un film d’azione, perché no!) di una tematica ancora così piena di spunti. Si accontenta di intrattenere, il che non è un male, ma non è neanche il massimo.

La frase: "Jerry Shaw, sei stato attivato".

Andrea D'Addio

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