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Duri si diventa











James King (Will Ferrell) è un broker di successo, molto abile nel suo lavoro ma assolutamente inetto quando si tratta di avere a che fare con persone con uno status economico inferiore al suo.
Darnell Lewis (Kevin Hart) è il titolare di un modesto autolavaggio alla perenne ricerca di un prestito che gli permetta di salvare l'attività.
Di tanto in tanto Darnell lava l'auto di lusso di James, ma i loro mondi non potrebbero essere più distanti.
Fino al giorno in cui il ricco manager viene incastrato per frode e condannato a passare dieci anni nel carcere di massima sicurezza di San Quintino e si rivolge proprio a Darnell, convinto che qualsiasi persona di colore sia stata almeno una volta nella vita in galera, per essere addestrato a sopravvivere in una realtà così dura.
Darnell è in realtà un cittadino modello, ma sarà costretto a fingersi un gangsta pur di ottenere la lauta ricompensa promessagli da James per il servizio fornito.
Le sue folli lezioni di vita non daranno i risultati sperati, ma permetteranno a entrambi di rivedere le loro posizioni sui rispettivi mondi di appartenenza.
La scarsa popolarità di Will Ferrell in Italia è, per chi scrive, un fenomeno tipicamente americano.
Comedian talentuosissimo, dotato di una forte propensione all'improvvisazione e alla risata crassa, non esente da alcune punte di trivio, Ferrell è oggetto della medesima scarsa esportabilità del collega Adam Sandler.
Campioni d'incassi sicuri quando giocano in casa, faticano però entrambi ad acquisire pubblico e riconoscibilità immediata una volta varcati i confini degli States.
Come riprova di ciò valga il fatto che Anchorman 2 - Fotti la notizia, sequel del quasi omonimo ed esilarante film del 2004, sia uscito da noi direttamente in homevideo, mentre i pochi film in cui Ferrell ha cercato di smarcarsi dal ruolo di comico puro, cimentandosi in prove attoriali che ne esaltassero la grana meno grossa (Vero come la finzione, Everything Must Go) sono finiti molto velocemente nel dimenticatoio.
Altra cosa che accomuna i due comici è il modo in cui i loro film sono legati l'un l'altro a doppio nodo da una sorta di immutabile coerenza interna che, indipendentemente dai registi coinvolti che, guarda caso, sono sempre gli stessi: Dennis Dugan per Sandler e Adam McKay nel caso di Ferrell - li eleva dal ruolo di semplici attori protagonisti a quello di autori stricto sensu.
In altre parole è molto difficile vedere Will Ferrell recitare in un ruolo che si discosti anche di poco dall'idealtipo umano (in sostanza un omone che, sotto la scorza di finto macho, nasconde innumerevoli insicurezze e idiosincrasie) che ormai si è soliti associare a Will Ferrell.
Il sodale McKay, in questo caso, si limita a scrivere lasciando l'onere della regia a Etan Cohen (sceneggiatore, tra le altre cose, anche di Tropic Thunder di Ben Stiller) ma va detto che il risultato finale non è all'altezza dei migliori film di Will Ferrell.
Per intenderci, gli estimatori non si aspettino nulla di paragonabile al primo Anchorman, ma neanche a Blades of Glory o a Fratellastri a 40 anni.
La struttura è quella classica che di più non si può del buddy movie, in cui la maggior parte delle soluzioni comiche scaturiscono (o almeno dovrebbero farlo) dalla giustapposizione di due personaggi fisicamente e socialmente agli antipodi.
Spalla designata per Ferrell in questo film è il modesto Kevin Hart che cerca di reiterare, con gli strumenti a sua disposizione, il cliché dell'afroamericano chiacchierone che fu prima di Eddie Murphy e Chris Rock e, più di recente, di Tracy Morgan.
Ciò che però non va per il verso giusto in Duri si diventa non ha molto a che vedere con le performance dei due attori protagonisti, ma più con un problema di scrittura.
Per quanto, infatti, in più di un'occasione, si rida e lo si faccia anche di gusto, la trama è fin troppo esile e gli scambi di battute forzati e non sempre a fuoco.
A questo si aggiunga poi un umorismo più becero degli standard farrelliani con alcuni momenti di cattivo gusto gestiti oggettivamente male (valga come esempio la scena in cui lo stesso Ferrell deve praticare una fellatio a un uomo in un bagno pubblico per abituarsi all'idea di ciò che gli avverrà una volta in cella) che, per alcuni versi, travalicano il confine tra scorrettezza e volgarità gratuita.
La scorrettezza politica - e quel gioiellino di adorabile trivialità che è Ted 2, recensito la scorsa settimana, sta lì a dimostrarlo - è un filtro delicato e, come tale, va adoperato cum grano salis, con la consapevolezza che, quando dà buoni frutti, offre gioielli (Judd Apatow, Seth McFarlane) ma, quando usato male, può anche generare mostri.
Qui siamo esattamente a metà del guado in quanto il film, in qualche modo, porta a casa il risultato e riesce nello scopo di divertire, ma lo fa in maniera un po' bassa e facilona.
Troppo bassa e facilona anche per essere un'uscita di fine stagione.

La frase:
"Ti prego, non rapinarmi, non ho soldi con me. Ho giusto novemila dollari".

a cura di Fabio Giusti

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