Double Vision
Arriva direttamente da Taiwan il film più costoso mai realizzato nell'isola, una rarità anche per il fatto di essere un thriller, genere poco in voga in questa remota parte del mondo, e che ha coinvolto un cast e una troupe internazionale.
Diretto dal premiatissimo regista taiwanese Chen Kuo-Fu, il film mescola ad arte la suspence più vicina ai modelli occidentali e quella di gusto più orientale. Un poliziesco in cui si susseguono morti oscure e tremende ma che finisce per immergersi nelle credenze mistiche millenarie cinesi, che l'atmosfera umida e frenetica della Taipei di questo 21mo secolo esalta e rende ancor più inquietante.

Gli orrendi omicidi che scuotono il dipartimento di polizia della città non mostrano alcuna relazione apparente tra le vittime, se non per lo stato di allucinazione in cui si trovano i cadaveri e per un curioso fungo presente nel loro cervello. Per portare avanti le indagini viene chiesta la collaborazione di un poliziotto americano dell'FBI al quale viene affiancato un detective caduto in disgrazia per aver denunciato la corruzione all'interno del corpo di polizia di Taipei.
Dopo lunghe ricerche concentrate soprattutto su quei piccolissimi particolari che gli altri sembrano invece voler escludere a priori, i due scopriranno nella serialità dei delitti, lo schema di un antico diagramma taoista, formula per l'immortalità che vuole i malvagi puniti attraverso dei gironi infernali.

Una commistione di generi, dicevamo ma soprattutto di culture. Il regista riesce infatti con eccezionale abilità a far avanzare l'indagine attraverso modi e metodi sia occidentali sia orientali, ottenendo così che il mistero si sviluppi su due piani: quello razionale e saldamente ancorato ai fatti e l'altro più soprannaturale, in cui gli uomini evocano spiriti maligni con l'aiuto dei quali portano avanti la propria vendetta. Il tutto è condito anche dal continuo passaggio dalla lingua cinese a quella americana - distrutto dal doppiaggio italiano che purtroppo confonde le acque e in parte appiattisce la vigoria della sceneggiatura e la maestria della messa in scena.
Resta il fatto che la coppia d'attori protagonista della vicenda, l'americano David Morse e l'honkgonghese Tony Leung Ka Fai (affascinante interprete de "L'Amante" di Annaud), è particolarmente sottomessa alla potenza dell'enigma e seppur siano perfettamente delineati, rimane la sensazione che ne sentano il peso opprimente, prestandosi spesso ad una interpretazione un pò sottotono.

Valeria Chiari

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