I sublimi segreti delle Ya-Ya sisters

Vedendo "I sublimi segreti delle Ya Ya sister" non si può non pensare immediatamente a "Pomodori verdi fritti alla fermata del treno" un'altra pellicola che oltre a muoversi continuamente avanti ed indietro nel tempo, attraverso i numerosi flashback, trattava in modo lieve e talvolta divertente, tematiche di un certo spessore; certo è che non bisogna comunque confondere la lana con la seta (come recita un vecchio adagio popolare). Alla Ya Ya sister manca freschezza, originalità e credibilità.
La storia di ordinario contrasto tra madre e figlia dovuto a traumi infantili e testardaggine assoluta vede Vivi (Ellen Burstyn / "L'ultimo spettacolo") scoprire improvvisamente che sua figlia Sidda (Sandra Bullock / "Miss Detective"), diventata commediografa di successo, ha rivelato in un'intervista a "Time Magazine" che la profondità dei suoi lavori è legata alla difficoltà della sua infanzia con una madre degenere. Il rapporto tra le due, già vissuto all'insegna di mille difficoltà, sembra così destinato al fallimento completo, ma è proprio in questo momento che intervengono le "Ya Ya", ovvero le amiche di sempre di Vivi, che decidono di rapire Sidda e di mostrargli la vera essenza della madre. Le tre diaboliche vecchiette, Caro (Maggie Smith / "Harry Potter"), Teensy (Fionnula Flanagan / "The Others") e Necie (Shirley Knight / "Angel Eyes"), catapulteranno Sidda negli anni quaranta il periodo dove la giovane ed indipendente Vivi (Ashley Judd / "Frida") ha fatto le scelte che l'hanno portata ad essere quello che è oggi, sperando che così Sidda possa capire e perdonare la madre.

Una storia abbastanza banale sorretta però da un cast in cui persino la Bullock riesce a dare una prova più che convincente, anche se personalmente ritengo sempre incredibilmente indelebili le caratterizzazioni di Maggie Smith, ciniche e disincantate al punto giusto. Sorprendente la somiglianza tra gli attori che interpretano i vari personaggi lungo le stagioni della vita soprattutto tra la Judd e la Burstyn.
La debolezza del film risiede però nella sua superficialità, veniamo travolti da scene di vita molto patinate, che, pur fornendo una qualche dimensione alle personalità dei protagonisti, rimangono fini a se stesse, una sorta di natura morta separata dal contesto globale. L'eccessiva frammentazione di questi quadri slegati tra loro fa si che non si abbia mai un senso di coinvolgimento totale. Tra l'altro le "tre sorelle" sembrano costantemente essere delle entità posticce senza alcuno scopo, non sappiamo come si sono sviluppate le loro vite, né come abbiano vissuto la morte di uno dei protagonisti e così via, tanto valeva lasciare soltanto il loro diario.
Callie Khouri, qui al suo poco felice esordio registico dopo aver scritto e prodotto "Thelma & Louise", si avvale dell'esperienza di John Bailey, come direttore della fotografia, riuscendo così a delineare i vari flashback con l'utilizzo di tinte calde che ricordano i vecchi manifesti pubblicitari della Coca Cola.
Ottime le musiche tra cui troviamo vari pezzi di Bob Dylan.

Curiosità: un pò di conti: Vivi riceve dal padre un anello alla vigilia della partenza per il fronte del suo fidanzato. Siamo quindi nel '41 circa e lei dovrebbe avere, nel migliore dei casi, diciotto anni. Arriviamo ai giorni nostri, dal '42 sono passati sessanta anni tondi tondi, più i diciotto che aveva Vivi, fanno settantotto. Se Vivi è un'ottantenne, come anche le sue amiche, complimenti a: il chirurgo plastico, i medici curanti, il centro fitness che hanno frequentato e, soprattutto, le mamme!

La frase: "Non voglio candele sulla torta, assomiglierebbe all'incendio di Atlanta."

Indicazioni:
Per chi si sente l'animo un pò zuccheroso.

Valerio Salvi

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