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Di me cosa ne sai
Dopo un paio di sequenze tratte da "La marcia trionfale" di Marco Bellocchio e "Salò o le 120 giornate di Sodoma" di Pier Paolo Pasolini, abbiamo Liliana Cavani alla ricerca di una copia perduta del suo "Al di là del bene e del male".
Comincia qui "l’inchiesta su un grande mistero italiano" condotta dal regista Valerio Jalongo, impegnato a svelare le motivazioni che, dopo gli Anni Settanta, hanno portato il nostro miglior cinema a un rapido declino e alla fuga dei nostri maggiori produttori.
Uno di essi, Dino De Laurentiis, tra un intervento di Sandro Baldoni e uno di Maurizio Nichetti, racconta del fatto che i Comunisti, a suo tempo, facevano finta di aiutarli, mentre la Democrazia cristiana li rigettava direttamente, ma anche di come Giulio Andreotti fosse l’unico politico che aveva intuito l’importanza dell’esportazione dei nostri film.
E sono soltanto alcuni dei "cinematografari" che l’autore di "Messaggi quasi segreti" e "Sulla mia pelle" ha interpellato sull’argomento, da un grottescamente disperato Felice Farina a Wim Wenders, passando per Franco Ferrini, Peter Del Monte, Mario Monicelli e Martin Donovan, il quale afferma che "Il conformista" di Bernardo Bertolucci gli cambiò la vita.
Senza contare diversi giornalisti, lo sceneggiatore Andrea Purgatori e Daniele Luchetti, impegnato a mostrare in che modo i programmi di condivisione audiovisiva rappresentino un vero e proprio pericolo per l’industria delle immagini in movimento.
Tutti impegnati a prendere parte a un interessante e coraggioso viaggio di celluloide attraverso esercenti, ragazzini teledipendenti, proiezionisti girovaghi e multisale-centri commerciali che hanno finito per decretare la fine della sala unica.
Per un ritratto pessimista che, ricordando anche la condanna al rogo di "Ultimo tango a Parigi" e il furto del negativo del citato "Salò" quando ancora era in lavorazione, approda all’arrivo delle tv commerciali di Silvio Berlusconi, negli Anni Ottanta, in seguito al quale la produzione di film è decisamente calata, fino a permettere a Maria De Filippi di girare "Amici" nello stesso teatro in cui, in tempi decisamente migliori, Federico Fellini concretizzava in pellicola le sue visioni oniriche.
La frase: "Io mi chiamo Valerio Jalongo, faccio l’insegnante e ogni tre o quattro anni il regista".
Francesco Lomuscio
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