The Blues: Dal Mali al Mississippi
Il nuovo film di Martin Scorsese è una ricerca delle radici della musica americana e non. A fargli da apripista c'è un cortometraggio di Nanni Moretti dal titolo "The last customer" in cui si ribadisce quanto sia importante questo senso di appartenenza che piano piano si sta perdendo ovunque. Nella pellicola di Moretti una farmacia "storica" che da decenni è punto di riferimento per tutta la gente del quartiere deve essere demolita per far spazio ad un enorme grattacielo. Nei ricordi e nelle testimonianze dei clienti e dei proprietari della farmacia rivive tutta la storia di queste persone "comuni" che si elevano quasi a simboli di una semplicità che deve essere messa da parte per far spazio alla prepotenza del nuovo. È come se la ricchezza dei potenti colpisse i sogni di questa gente (che si spera rimarranno sempre vivi). Il cortometraggio è in un certo senso politico nella sua urgenza no - global (che ne sanno i potenti della vita della persone?), nel suo sentito bisogno di tornare a vedere le cose in modo "umano".
E politico (nella stessa urgenza di una riscoperta delle radici) è sicuramente anche il film documentario di Scorsese. "The Blues" fa parte del progetto ideato dallo stesso Scorsese, che vuole rendere omaggio a questa forma musicale antica ma allo stesso tempo moderna. Insieme ad altri sei registi, tra i quali Wim Wenders e Clint Eastwood, il regista di "Taxi driver" tenta un percorso emozionale alla ricerca del significato del Blues stesso (il progetto tra l'altro non si ferma al cinema).
Il viaggio parte dal delta del Mississippi per arrivare fino a Mali in Africa. Il nostro cicerone è Corey Harris, giovane musicista blues e grande conoscitore di questo genere. Harris passa in rassegna un secolo di cultura afro americana attraverso filmati di repertorio, interviste ai protagonisti e jam sessions estemporanee. E così scorrono davanti ai nostri occhi, e dentro le nostre orecchie, personaggi "leggendari" come Robert Johnson (si dice avesse venduto l'anima al diavolo), Muddy Waters (i Rolling Stones hanno preso il nome da una sua canzone), Leadbelly (un hobo come il "bianco" Woody Guthrie), John Lee Hooker (è uno spettacolo vederlo suonare la chitarra), e personaggi meno conosciuti ai non addetti quali Son House, Skip James o Otha Turner, un flautista straordinario al quale il film è dedicato.
Durante tutto il corso del film vediamo come quasi tutto ciò che ascoltiamo oggi venga da lì (d'altra parte Sam Philips, lo scopritore di Elvis, cercava solo un bianco che cantasse come un nero). Se ascoltiamo il primo rock'n'roll oppure i Led Zeppelin o, per arrivare a oggi, i White Stripes, vediamo come ognuno debba qualcosa a questi grandi personaggi che tante volte erano "armati" solo di una chitarra. E non finisce qui perché anche questi grandi dovevano qualcosa a qualcuno; ed è per questo che il viaggio finisce a Mali sulle rive di un altro fiume, il Niger. Nelle tradizioni tribali, nel ritmo di un tamburo, nella musica antica rielaborata da personaggi straordinari come Salif Keita o Alì Farka Tourè ritroviamo i semi di quella musica che pensavamo venisse dagli Stati Uniti e invece nasceva nell'altra parte del mondo. Ne ha fatta di strada il Blues.
Eppure alla fine del viaggio abbiamo la certezza che il racconto che abbiamo seguito, riguardasse sì la musica, ma riguardasse anche qualcosa che va al di là di questa. Negli occhi scavati di questi "attori" eccezionali, nelle rughe che solcano i loro volti, abbiamo potuto vedere il dolore, l'amore, il lavoro di tante vite ordinarie ma eccezionali. Abbiamo visto e immaginato il sudore, la disperazione, l'allegria di un popolo che ha dovuto lottare per poter dimostrare che le loro storie valevano quanto quelle degli altri. Oggi i tempi sono cambiati eppure le canzoni, quando fatte con l'anima, ancora servono a rappresentare queste emozioni.
D'altra parte che cos'è una bella canzone se non il racconto di una vita?

Renato Massaccesi

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