Cosmopolis
De Lillo, William Burroughs ("Il Pasto Nudo"), Ballard ("Crash"), Mc Grath ("Spider"), sembrano autori nati per scrivere libri che poi Cronenberg porterà sullo schermo. Autori dotati della necessaria visionarietà ed alienazione, autori che prediligono l'interiorizzazione all'azione, autori che approfondiscono la loro analisi, incessantemente e spietatamente, per raggiungere lo zero assoluto dell'anima. Se David Cronenberg non avesse fatto il regista avrebbe scritto romanzi come gli autori sopra citati. Il racconto si frammenta, si involve, si avviluppa su se stesso, per poi risvilupparsi in molteplice scenette tenute unite dall'io fluente della lunga Limousine nera che si snoda come un serpente pigro per le vie di Manhattan. Cosmopolis è soprattutto questo, una lunga seduta psicoanalitica all'interno di un auto che assomiglia ad un'astronave passata di moda, sul cui lettino del paziente è seduta la società occidentale. Si parla di tutto su quel comodo – apparentemente – trono di morbida plastica. Di sesso, naturalmente, di amore e famiglia, di divismo e celebrità ma anche e soprattutto di economia (il libro è del 2002 e, profeticamente, prevede le conseguenza disastrose della finanza sulle sorti dell'economia mondiale). "Il topo diventò l'unità monetaria" è uno degli slogan del film, quando si discetta sulle storture e le aberrazioni di un'economia fondata sui byte di una transazione telematica. E la New York descritta nel film – l'opera si trascina nell'arco di una giornata nella quale il protagonista, Eric Packer, attraversa la città per andarsi a tagliare i capelli dal barbiere che frequentava da bambino – è percorsa da terroristi che lanciano topi morti nei bar o spiaccicano torte in faccia ai guru della nuova economia.
Il film, ma come non poteva esserlo, è costellato da dialoghi eccezionali, tagliati sulle psicologie dei personaggi. "Il denaro ha perso la sua forza narrativa, come la pittura tanti anni fa" ne è un esempio. Oltre alla visionarietà di alcune riprese, ed ai colori di una fotografia molto espressiva, costituiscono l'ossatura formante dell'opera e perdersene il senso di alcuni è davvero imperdonabile ma quasi inevitabile vista la "corposità" dei concetti esposti.
Molti gli attori di fama coinvolti (Juliette Binoche, Sarah Gordon, Mathieu Amalric e un grandissimo Paul Giamatti), il film ha il suo punto più debole (e che peccato!) proprio nell'attore protagonista.
Parliamo di quel Robert Pattinson, che non riesce a togliersi dal viso quella smorfia ebete da vampiro sfigato. Un'espressione di rabbia, o di sorpresa, o di dolore, o divertita, insomma, Mister Pattinson, ci conceda un'espressione diversa da quelle alle quali ci ha abituato: noia e depressione.
La frase:
"Sto andando ad aggiustarmi il taglio".
a cura di Daniele Sesti
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