Che cosa aspettarsi quando si aspetta
Cosa aspettarsi quando si aspetta trae il titolo dall'omonimo best seller, pubblicato negli Stati Uniti nel 1985 e destinato alle future mamme. Il libro è strutturato secondo uno schema di domande e risposte e segue il percorso della gravidanza in ordine cronologico, dal concepimento alla nascita. Il film è una commedia che segue una serie di possibilità, secondo l'esperienza di cinque future mamme.
Fin dall'inizio si intuisce che gli autori della pellicola hanno tutte le intenzioni di muoversi su binari molto facili. Tutti i protagonisti, nei primi minuti iniziali, gravitano attorno a un programma televisivo in cui celebrità si esibiscono in numeri di danza, alcuni come ballerini, altri come spettatori. Il personaggio interpretato da Cameron Diaz peraltro è la star di un reality in cui segue persone comuni all'interno di un percorso di dimagrimento. Ormai siamo nella fase dell'iperrealtà: per essere credibili bisogna ancorarsi a quello che è più reale del reale, alla presenza televisiva e al legame invisibile ma palpabile tra VIP e gente comune. Si può legittimamente dubitare che questa formula sia ancora in grado di incantare qualcuno.
Ci troviamo di fronte a un umorismo prevalentemente situazionale, basato su condizioni specifiche e in molti casi patrimonio di molti genitori. Il problema è che fin troppo spesso gli esiti sono prevedibili e anche nelle circostanze più assurde non riescono a sorprendere fino in fondo. Solo Chris Rock di tanto in tanto solleva un po' il tono e Dennis Quais con il suo personaggio sopra le righe riesce a raggiungere qualche momento perfettamente grottesco, ma per il resto c'è davvero poco da aspettarsi.
Una delle particolarità che colpiscono di più in Cosa aspettarsi quando si aspetta è la sostanziale separazione tra partner nel periodo dell'attesa. Uomini e donne seguono percorsi differenti senza mai incontrarsi. Anzi, viene lasciato intendere in maniera abbastanza diretta che i futuri padri è meglio che stiano il più possibile lontani delle future madri, preda di scompensi ormonali e di umore.
L'unico padre realistico ed emotivamente più collegato alla propria partner è anche quello che riceve il trattamento più punitivo. L'unico spazio “autentico” che viene riservato agli uomini è l'introduzione di una specie di “Fight club” per padri in cui i “ragazzi” possono parlare in tranquillità e lontani da orecchie femminili. Siamo di fronte alla perpetuazione di un brutto stereotipo per cui gli uomini non discutono mai del proprio mondo emotivo con le rispettive partner, perché questo non è nella loro natura. Al massimo possono limitarsi a qualche blanda lamentela con i propri compagni, ma è una ben magra consolazione. In effetti, il film ripropone una serie di cliché del rapporto tra uomini e donne, il che è piuttosto sorprendente se si pensa che il film è stato scritto da due sceneggiatrici. Il parto è una specie di “fregatura” in cui gli uomini volenti o nolenti vengono incastrati, il rapporto tra padri e figli è una perenne competizione che solo in circostanze eccezionali può prendersi una pausa, e l'apporto maschile nell'attesa di un figlio si limita in due brevi momenti: l'attimo prima del concepimento e i primi secondi dopo il parto. Cosa aspettarsi dopo da tali modelli relazionali, non è davvero dato saperlo.
La frase:
"La gravidanza fa schifo!".
a cura di Mauro Corso
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