Contagious - Epidemia mortale
Prima ancora che la radio parli di un’epidemia che ha provveduto a trasformare la popolazione americana in zombi, durante i titoli di testa, su schermo nero, ascoltiamo una telefonata fuori campo effettuata da una ragazza al padre, che apprendiamo subito essere Wade, ovvero Arnold Schwarzenegger.
Un Arnold Schwarzenegger figurante anche tra i produttori del lungometraggio d’esordio di Henry Hobson, nel quale fa da genitore alla Maggie il cui nome rappresenta, inoltre, il titolo originale del film e che possiede i connotati della Abigail Breslin di “Benvenuti a Zombieland” (2009).
Chi, considerando anche la presenza del Terminator del grande schermo, si aspetta la classica pellicola con morti viventi impegnati a sgranocchiare carne umana per poi finire uccisi a colpi d’arma da fuoco alla testa nel crescendo d’azione, però, rischia di rimanere non poco deluso, in quanto ci troviamo in tutt’altro ambito cinematografico.
Infatti, sebbene non manchino immagini della città devastata e gli infetti cannibali facciano pochissime, occasionali apparizioni, il ripugnante morbo, in questo caso, non vuole essere altro che l’ingrediente indispensabile per enfatizzare allegoricamente in salsa horror la malattia e i diversi comportamenti manifestati nei suoi confronti.
Perché, se al centro di tutto si trova l’intimità del rapporto tra l’amorevole vedovo – che si scopre anche avere due bambini con un’altra compagna – e la sempre più malandata figlia, di contorno abbiamo sia ospedali che mentono ai pazienti facendogli credere che la loro situazione non corre rischi, sia la propensione da parte delle autorità ad allontanare i contaminati dagli altri esseri umani per metterli in isolamento all’interno di speciali reparti.
Man mano che il protagonista si mostra fermamente deciso a tenersi accanto l’imminente salma ambulante sangue del suo sangue e che, attraverso lenti ritmi di narrazione immersi nelle cupe atmosfere garantite dalla fotografia di Lukas Ettlin, prende forma un soprannaturale e paradossalmente realistico dramma indipendente non eccelso, ma interessante per la maniera originale in cui fornisce una riflessione sul dolore della perdita... oltre che impreziosito da un totalmente inedito Schwarzy che, una volta tanto, non ha bisogno di ricorrere ad ironia verbale e machesco sfoggio di bicipiti per risultare credibile.
Non per palati facili o in cerca di intrattenimento fracassone.
La frase:
"Lo sai che deve andare in quarantena".
a cura di Francesco Lomuscio
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