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Coach Carter
"He got game" diceva Spike Lee a proposito del Basket. Ed è vero, verissimo, perchè per un giovane Afroamericano il gioco è sempre quello: riscattarsi dal disagio attraverso la Musica o lo Sport.
Con la regola che per continuare a tirare la palla nel canestro ai massimi livelli devi passare per l'Università e prima della Nba c'è la Ncaa.
E' una cultura dello sport che passa per la Cultura a trecentosessanta gradi e che nel nostro amato Belpaese rimane ancora un sogno, ma se un giorno fosse così anche da noi, allora avremmo il miracolo di calciatori che ingranano qualche congiuntivo e non parlano solo di "fare bene", di Mister e di gol fatti e sbagliati.
Ken Carter prende in mano gli Oilers di Richmond e da team di sfigati li trasforma non in vincenti ma addirittura in stra-vincenti con13 vittorie senza sconfitte.
Ma poi chiude le porte della palestra della High School perché sa che le porte della società per i suoi campioni sono già chiuse dal cinismo e dalla rassegnazione.
Le riaprirà quando avranno imparato non solo a saltare sul parquet dietro alla palla ma anche a fare salti di ben altro tipo, verso il College ed un futuro più dignitoso.
L'altro Carter, il regista Thomas, è uno specialista in pellicole di formazione adolescenziale ("Save the last dance " e "Hill street giorno e notte") e fra melassa e buoni sentimenti di ogni tipo (nella storia c'è anche il rapporto tra il Coach e il figlio Damien che gioca nella sua squadra e quello fra il Rob Brown di "Scoprendo Forrester" e la cantante Ashanti, senza il glam del R'n'B poco credibile come ragazza madre) lascia che il film prenda quota , riuscendo nel finale ad andare a canestro anche lui con buona tensione drammatica.
Certo, come il Coach riesca domare in quattro e quattr'otto dei teppistuncoli di lungo corso rimane un mistero.
Come d'altra parte è un mistero l'interpretazione monotonica di Samuel L.Jackson, sempre impeccabile con le sue giacche e le sue cravatte e sempre inesorabile con i suoi ragazzi ma anche inesorabilmente noioso ed antipatico, al quale forse qualche goccia di sudore e qualche movimento facciale in più avrebbero fatto bene (dalle foto il vero Coach Carter in confronto sembra un comico del Saturday Night Live).
In tutto questo il film finisce come comincia, e Richmond perde ancora con St.Francis.
Ma questa volta solo di due punti e vincendo qualcosa di più importante, e cioè il rispetto per sé stessi, quello degli avversari e soprattutto una vita che non avrebbero mai immaginato prima (qui se volete ci scappa la lacrimuccia…).
Max Morini
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