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City of Ghosts
L'opera d'esordio alla regia di Matt Dillon ha il sapore dei film anni cinquanta; sarà per la fatiscenza di una Cambogia che ricorda i fasti del colonialismo francese contrastati dalla realtà dei Khmer, sarà per l'intreccio narrativo scandito più dai silenzi e dalle mezzi frasi di bogartiana memoria, sarà invece per il gruppo d'interpreti (Depardieu e Caan) che ci riporta con la mente indietro nel tempo riflettendo nei loro corpi le vestigia del tempo che fu (un pò come l'ambiente circostante), ma, benché affetta da una certa lentezza e da uno schema narrativo non proprio originale, la pellicola si lascia guardare piacevolmente.
In una Phnom Penh calda, umida e sudata arriva il giovane Jimmy (Matt Dillon / Tutti pazzi per Mary) in fuga dall'America dopo una maxi truffa assicurativa. La Cambogia non è stata scelta a caso, li è la base di Marvin (James Caan / Le vie della violenza) che non solo è il deus ex machina dell'inghippo, ma anche il mentore di Jimmy. Nel sud-est asiatico, territorio vergine per speculatori senza scrupoli, Marvin si è costruito la sua dimora dorata - peraltro nella vecchia residenza del governatore francese - tenuta su da una rete di intrighi, connivenze e corruzione.
Tutti i fili delle situazioni in sospeso si aggrovigliano intorno a Jimmy ed al bar di Emile (Gerard Depardieu / Vidoq), fulcro della vita degli esuli. Perso il passaporto, con i vecchi soci russi di Marvin sulle sue tracce determinati ad eliminarli tutti e due e con Kaspar (Stellan Skarsgard / Ronin), il loro complice locale che vuole la sua parte per potersene andare, l'orizzonte di Jimmy è piuttosto nero.
In questo contesto l'unico raggio di luce è Sok (Kem Sereyvuth) un guidatore di ciclo indigeno che con il suo candore e la sua onestà è una spanna sopra tutti gli altri occidentali.
Dillon si dimostra un discreto regista anche se non sfoggia altrettanto talento come sceneggiatore: Affascina moltissimo la sua visione decadente della capitale cambogiana, la scelta di indugiare sui particolari e di ricostruire un quadro d'insieme attraverso i piccoli affreschi che sono le vite dei tanti protagonisti. Il ritmo particolarmente rilassato è funzionale a questo stile narrativo, ma nel finale il tutto si perde nelle nebbie paludose di una conclusione tirata via che non riesce a tenere sulla corda lo spettatore che da un thriller si aspetta un pò di più.
Curiosità: la villa diroccata in cui si svolge il confronto finale è una vecchia roccaforte dei Khmer Rossi a 150 Km dalla capitale. La produzione ha dovuto anche ricostruire la strada che arrivava in cima alla collina.
La frase: "Come posso fidarmi di qualcuno se non mi fido di me stesso."
Indicazioni: Per chi vuole un pò di nostalgia.
Valerio Salvi
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