Changeling
Il 10 marzo 1928, a Los Angeles, Christine Collins (Angelina Jolie), una madre single, che lavora in un centralino, deve tornare al lavoro per qualche ora di straordinario. Saluta il figlio di nove anni, Walter, ed esce. Al suo ritorno Walter è sparito. La ricerca tra i vicini si rivela inutile, via via più angosciante. La donna denuncia la scomparsa alla polizia: nonostante le ricerche di Walter non vi è più traccia, quasi non fosse mai esistito. La polizia, sotto i riflettori per la sua inefficienza e per la crociata del reverendo Gustav Briegleb (John Malkovich) che, per radio, ne denuncia la corruzione e i metodi criminali, dopo qualche mese risolve il caso: il capitano Jones (Jeffrey Donovan), che segue le indagini, conduce Christine al treno dove, sotto gli occhi della stampa e dei fotografi, dovrebbe avvenire il ricongiungimento della madre con il figlio. Solo che Christine non lo riconosce: quel bambino paffuto, che dice di essere suo figlio, per lei non è Walter.
Clint Eastwood ci ha abituato ad aspettarci sempre molto: ogni suo film è un tassello di grande cinema, quello destinato a durare e a lasciare un segno nell’animo dello spettatore. L’eccezionalità è sempre nei suoi lavori e con "The Exchange" Eastwood forse supera (di nuovo) se stesso, ricrea e fa risorgere un mondo e un’epoca, la Los Angeles di fine anni Venti, in un continuo alternarsi di luci e ombre, accompagnate da una musica malinconica, composta dallo stesso regista.
Una Los Angeles al di là di ogni stereotipo romantico, in cui dilagava la corruzione proprio nelle fila di chi doveva proteggere la cittadinanza, in cui non si esitava ad abusare del potere, per intimidire, per perseguire i propri fini e in cui le donne (e i bambini) non avevano possibilità di difendersi.
Ispirato ad una vicenda realmente accaduta, un buco nero nella storia della città, che J. Michael Straczynski, giornalista e sceneggiatore, ha salvato dall’oblio, "The Exchange" ha dovuto appoggiarsi, per poter essere distribuito, non solo alla Malpaso di Eastwood, ma anche a produttori come Brian Grazer e Ron Howard, passando dalla Warner all’Universal. Eastwood ha la capacità di toccare nervi scoperti, di scavare nel passato dell’America, in un’eco dell’oggi.
I temi che gli stanno a cuore sono sempre gli stessi, riletti, ribaditi, sottolineati: i deboli, le infanzie spezzate, la corruzione, la ricerca ostinata della verità, anche a costo di rimanerne scottati, la giustizia - intesa non come vendetta ma come unico senso possibile all’esistenza - il rapporto dell’individuo con il potere, la pena di morte, l’oggettivazione del paziente nel sistema sanitario (qui ne abbiamo un saggio nell’internamento di Christine in manicomio).
Eastwood concentra quasi con ossessione il suo sguardo su una figura di donna che, da sola, animata dal senso materno e dalla sete di giustizia, riesce a tenere testa, con dignità e compostezza, pagando per la sua scelta un caro prezzo, ad un’intera società malata, ad istituzioni ben più forti di lei. C’è tanto cinema, di tutti i tempi e generi, in questo ennesimo capolavoro di Eastwood, quasi una summa che riempie gli occhi e fa uscire dal cinema soddisfatti e commossi. Ci sono echi che rimandano all’intera sua filmografia: non solo "Mystic River", ma anche "Million Dollar Baby", "Un mondo perfetto", "Potere assoluto"...
Clint, il pessimista, ha ancora la forza di indignarsi, di stupirsi di fronte al Male assoluto presente negli uomini: soprattutto non ha perso la voce per dirci che bisogna comunque lottare, anche a costo di perdere.
Cast tutto all’altezza, perfettamente in parte, con Angelina Jolie forse nel suo ruolo più intenso, una Christine sconvolgente, terribile forza della natura.

La frase: "Non bisogna mai iniziare una battaglia. Ma se si comincia bisogna andare fino in fondo".

Giulia Baldacci

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