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Lo sguardo di Satana - Carrie











Con ogni probabilità, sono in pochissimi a ricordarlo, ma la Carrie White nata dalla penna del Re dell’horror su carta Stephen King e posta cinematograficamente all’attenzione del pubblico tramite il classico “Carrie-Lo sguardo di Satana”, diretto nel 1976 da Brian De Palma, era già stata riportata sullo schermo, nel 2002, all’interno del rifacimento televisivo “Carrie” di David Carson, con Angela Bettis nel ruolo della protagonista dotata di poteri telecinetici. Un rifacimento giunto tre anni dopo il brutto sequel “Carrie 2-La furia” di Katt Shea e che ne anticipò di undici questo concepito per il grande schermo da Kimberly Peirce, regista del “Boys don’t cry” che ha consentito a Ilary Swank di conquistarsi il suo primo premio Oscar, la quale pone la brava Chloë Grace Moretz della saga “Kick-Ass” nei panni della adolescente continuamente sbeffeggiata dalle compagne di classe, interpretata nel capostipite da una stupefacente Sissy Spacek.
È invece Julianne Moore a sostituire Piper Laurie nella parte della ossessiva e bigotta madre, che, a differenza del capostipite, vediamo anche alle prese con la venuta al mondo della figlia nel corso dei primi minuti di visione della pellicola, sostanzialmente fedele a quella da cui tutto ha avuto inizio; tanto da riprenderne, tra le altre, la sequenza delle mestruazioni sotto la doccia a scuola e, ovviamente, il momento dell’atroce scherzo al sangue di maiale durante la sera del ballo.
Cosa aggiunge, allora, il remake peirciano a quanto raccontato dal succitato autore di “Vestito per uccidere” e “The untouchables-Gli intoccabili”?
Più difetti che pregi, a cominciare dalla diminuzione della tanto fastidiosa quanto indispensabile dose di cattiveria nel massacro finale e dal fatto che la coppia formata da Portia Doubleday e Alex Russell non riesca a possedere un minimo del carisma conferito a suo tempo ai cattivi Chris e Billy da Nancy Allen e John Travolta.
Per non parlare del Tommy Ross che fu di William Katt, qui anonimamente rispolverato da un Ansel Elgort facente parte di una gioventù da smartphone, al servizio di un elaborato funzionante solamente per quanto riguarda il buon ritmo narrativo... oltre che utile in maniera esclusiva al fine di spingere le nuove generazioni a riscoprire il lungometraggio originale, più che a innamorarsi di questo, del quale non si sentiva (e si continua a non sentire) affatto il bisogno.

La frase:
"Una persona può essere provocata solo fino a un certo punto, prima che esploda".

a cura di Francesco Lomuscio

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