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Bloody Sunday
Il 30 gennaio del 1972, a Derry, cittadina dell'Irlanda del Nord, l'esercito britannico fece fuoco sui partecipanti ad una marcia per i diritti civili, uccidendone tredici. L'evento fu subito battezzato "Bloody Sunday". A partire da quel giorno, il conflitto già in atto fra cristiani e protestanti si trasformò in una vera e propria guerra civile e sull'onda di questa tragedia molti giovani confluirono nelle file dell'IRA, dando vita così, ad un periodo tragico durato circa venticinque anni.
Il film racconta proprio di quella giornata: dall'arrivo all'alba dei militari fino allo scontro fra questi e la folla di dimostranti.
Ha avuto coraggio Paul Greengrass a voler affrontare un tema che è ancora una piaga sanguinante della storia inglese, ma anche e soprattutto di quella irlandese. La pellicola è strutturata come se fosse una successione di diapositive che si fermano lì sullo schermo e che ti colpiscono dritto allo stomaco. La cinepresa si sofferma sulle storie di Ivan Cooper (James Nesbitt - Lucky Break), protestante, leader del movimento per i diritti civili, di Gerry Donaghy (Declan Duddy), diciassettenne che vorrebbe poter vivere in pace la sua storia con una ragazza protestante, di Patrick Maclellan (Nicholas Farrell - Pearl Harbour), il brigadiere a cui viene chiesto di fermare la manifestazione, e di un giovane radio-operatore del reparto dei paracadutisti che prende parte alla rappresaglia. I tanti primissimi piani, le inquadrature volutamente sfocate o poco centrate, i dialoghi essenziali, fanno di questa pellicola quasi un documentario, un video amatoriale: è questa la sua forza, ciò che la rende così reale da far sì che lo spettatore se ne senta parte integrante. La storia è troppo coinvolgente e gli attori così ben calati nella loro parte che è impossibile non venirne fagocitati, grazie anche all'aiuto della colonna sonora, la ormai celebre "Sunday bloody sunday" degli U2. Ad un tratto le comode poltrone del cinema scompaiono: sto con i manifestanti, sento le pallottole passarmi sopra la testa, i mezzi corazzati avanzare. Sento le urla dei feriti, la paura si impadronisce della mia parte razionale. Vorrei correre, ma non posso: sono bloccata con gli altri dietro una rudimentale barricata, alzare la testa significa fare da bersaglio agli innumerevoli proiettili esplosi dai militari. Con uno sforzo immane ritorno alla realtà, mi guardo intorno. Le persone accanto a me sono come ipnotizzate. Nessuno riesce a distogliere gli occhi dallo schermo. Capisco che non è facile restare insensibili a scene del genere, sono crude, forti, dure da accettare, ma fanno parte della storia dell'umanità. Pensare che purtroppo, non ne facciamo tesoro e permettiamo che fatti del genere, se non ancora più brutali continuino ad accadere.
Teresa Lavanga
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