Black House
Tratto dall’omonimo romanzo del famoso scrittore nipponico Kishi Yusuke, “Black House” fu già goggetto di una trasposizione cinematografica (giapponese, questa odierna invece è coreana) del 1999 mai vista da noi. L’horror asiatico è ormai un ricco filone cinematografico pieno di storie e suggestioni, ma non ancora ben compreso dalle case distributrici europee: ottime pellicole e scarti di magazzino hanno quasi la stessa probabilità di essere comprati e presentati in sala e dvd.
Black House sarebbe stato molto probabilmente l’ennesimo buon film dimenticato se non avesse riscosso un discreto successo di critica e pubblico all’ultimo Far East Film Festival di Udine guadagnandosi almeno la classica uscita estiva riservata agli horror.
Stavolta a muovere le fila della paura non c’è nessun fenomeno paranormale come le più famose pellicole asiatiche esportate da noi, ma un vero e proprio psicopatico senza alcun limite di morale. "Uno in confronto al quale Norman Bates sembra Spongebob" ha affermato il noto critico coreano Kyu Hyun Kim. E’ proprio nello studio del profilo mentale dell’assassino che risiede uno degli aspetti più interessanti, a livello di contenuto, di “Black House”. L’incapacità nel riconoscere il male dall’innocenza, la manipolazione mentale e l’imperturbabilità nell’esplicitare pensieri impossibili come se nulla fosse sono caratteristiche proprie di ogni pazzo assassino riscontrabili in tanti famosi serial killer letterari e cinematografici. Qui il vero cattivo viene mostrato dopo poco meno di un’ora lasciando che il resto del film diventi una vera e propria caccia gatto col topo. Da una parte il mostro, dall’altra l’eroe suo malgrado costretto a fuggire. La regia di Shin Terra è abile nel mantenere sempre alta la tensione senza ricorrere ad immagini particolarmente crude o al solito sbalzo improvviso di volume, ma sfruttando abilmente il thrilling dell’individuazione dell’assassino nella prima parte, e la claustrofobica limitazione dello spazio (la black house del titolo) nel finale aiutata anche da un’ottima fotografia. Nulla di straordinario, ma sicuramente un film godibile che mantiene quanto promette.

La frase: "Era un vero mostro, non avrebbe dovuto vivere in mezzo a noi".

Andrea D'Addio

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