Black Christmas - Un Natale rosso sangue
A saperlo sono veramente in pochi, soprattutto dalle nostre parti, ma, nel lontano 1974, il compianto Bob Clark, diversi anni prima di dedicarsi alla creazione della saga “Porky’s”, diresse un vero e proprio gioiellino della suspense su celluloide che, incentrato su un misterioso assassino preso a sterminare durante il periodo natalizio alcune studentesse nella loro abitazione, finì per trasformarsi nel primo vero slasher-movie della storia del cinema, fornendo le basi su cui si sarebbero in seguito sviluppati sia il bel thriller “Quando chiama uno sconosciuto” (1979) di Fred Walton che noti serial del calibro di “Halloween” e “Scream”.
In questo rifacimento per mano di Glen Morgan, che in fatto di remake già si occupò di “Willard il paranoico” (2003), addirittura superiore all’originale “Willard e i topi” (1971) di Daniel Mann, il primo elemento curioso risiede nella trama, la quale, anziché mantenere il clima di mistero che caratterizzò il film del 1974, sembra rifarsi in maniera evidente proprio al carpenteriano “Halloween-La notte delle streghe” (1978), a sua volta ispirato, secondo voci più o meno leggendarie, ad un’idea partorita dallo stesso Clark per un ipotetico sequel del suo capolavoro.
Fin dall’inizio, infatti, conosciamo l’identità dello squartafanciulle: tale Billy Lenz, nato con una malattia al fegato che gli rese di colore giallastro gli occhi e la pelle e che, rinchiuso in manicomio dai tempi in cui uccise la madre incestuosa, evade alla vigilia di Natale per fare ritorno nella sua vecchia casa, ora occupata da una confraternita di ragazze guidate dalla signora McHenry, interpretata proprio dalla Andrea Martin che già prese parte al capostipite.
Nome che, insieme a quello dell’Oliver Hudson di “The breed-La razza del male” (2006), va ad affiancare il tipico cast di gallinelle urlanti appositamente reclutate per la mattanza, dalla Katie Cassidy di “Cambia la tua vita con un click” (2006) alla Lacey Chabert di “Mean girls” (2004), passando per Mary Elizabeth Winstead, la quale, tra un “Final destination 3” (2006) ed un “Grindhouse-A prova di morte” (2007), rischia di assumere le fattezze di presenza fissa del genere.
E, come c’era da aspettarsi, tra occhi cavati e cannibalismo, è notevolmente aumentata la dose di splatter, mentre una struttura narrativa ricca di flashback provvede ad incastrare presente e passato al fine di fornire tutti i dettagli relativi alla genesi del serial killer protagonista, fino ad una tesissima seconda parte.
Quindi, pur senza eccellere, ciò che ne viene fuori è un godibilissimo e veloce prodotto diretto con mestiere, il quale, non privo di una certa propensione verso la spettacolarità da blockbuster e capace perfino di spaventare, non deluderà sicuramente la giovane generazione di horror fan.
Anche se risultano assenti tutti i preziosi elementi che fecero dell’originale un classico, dalla cupa atmosfera di tensione allo splendido omicidio al ralenti eseguito per mezzo di un unicorno di cristallo; per non parlare del coraggioso non finale, atipico sia per quella che per questa epoca.

La frase: "
- Sarò a casa per Natale"
- Stai sognando Billy, te lo puoi scordare".

Francesco Lomuscio

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