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Billo il grand dakhaar
Vincitore del premio per il miglior film sia presso il Festival Cinema Italiano di Villerupt che al Seattle International G&L Film Festival, il secondo lungometraggio di finzione di Laura Muscardin, autrice nel 2001 del dramma a sfondo omosessuale "Giorni", si propone di raccontare una storia d’integrazione razziale basandosi sulla vera vita del protagonista senegalese Thierno Thiam, visto, tra l’altro, ne "La finestra di fronte" di Ferzan Ozpetek e nella serie tv "Capri".
In quella che possiamo tranquillamente considerare come la prima co-produzione tra Italia e Senegal, l’attore veste infatti i panni autobiografici di un immigrato di colore con diploma di sarto che, approdato nella capitale dello stivale in cerca di fortuna nel campo della moda per tornare a casa ricco dalla promessa sposa Fatou, con il volto di Carmen De Santos, finisce per innamorarsi della giovane Laura, interpretata dalla Susy Laude di "Ho voglia di te".
E l’incontro tra la cattolica cultura bianca ed un popolo sempre devoto ad Allah viene portato sullo schermo dalla regista con un tono da moderna favola tricolore per fortuna mai eccessivamente serioso, forte anche di uno stuolo di divertenti personaggi di contorno come l’esilarante avvocato interpretato dal Cesare Apolito di "Come te nessuno mai" o il pregiudicato con le fattezze del bravo e sottovalutato Edoardo Leo di "Dentro la città", che si cimenta in un memorabile monologo riguardante l’assenza dei Matia Bazar nel mercato della pirateria musicale.
Mentre le musiche del co-produttore Youssou N’Dour, comprensive anche di una personale rilettura del "Barcarolo romano", fanno da commento al tutto e si scorge anche qualche piccola ed inevitabile influenza cinefila (impossibile non pensare a "Indovina chi viene a cena" dinanzi alla sequenza in cui il protagonista si trova a tavola con la famiglia di Laura), l’unico pericolo è quello di tendere a scadere a volte nello stereotipo, soprattutto nel momento in cui l’ottimo Rolando Ravello fa la sua apparizione nella divisa di un poliziotto proto-fascista.
Quindi, non ci si annoia affatto e si riflette, ma è con ogni probabilità ancora lunga la strada per poter verificare quanto la tolleranza sia veramente più importante dell’orgoglio.
La frase: "Questo è il paradiso dei bianchi, noi invece abbiamo solo problemi".
Francesco Lomuscio
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