Bhutto
Nata il 21 giugno del 1953 e definita la "Kennedy del Pakistan", Benazir Bhutto fu la figlia del carismatico ex primo ministro Zulfikar Ali Bhutto, il quale, all’affermazione rivoltagli dal presidente statunitense assassinato nel 1963 "Se lei fosse stato americano sarebbe stato nel mio governo", rispose "Se io fossi stato americano sarei stato al suo posto".
A partire da filmati in bianco e nero riguardanti la nascita del Pakistan, nel 1947, sono la vita e il governo di questa donna – la prima della storia ad essere eletta Primo Ministro in un Paese mussulmano – che Duane Baughman e Johnny O’Hara ricostruiscono in maniera fedele nel loro documentario, insistendo sull’importanza del rapporto con il padre e della sua ingiusta morte.
Una donna che identificava nella democrazia la miglior vendetta e la cui storia, oltre che attraverso le testimonianze esclusive rilasciate dai parenti più stretti tre mesi dopo il suo assassinio, avvenuto il 27 dicembre del 2007 tramite un attentato suicida, viene narrata da lei stessa, grazie a registrazioni scoperte di recente e mai ascoltate pubblicamente fino ad ora.
Quindi, con le crude immagini di scempi dovuti ad atti terroristici ed interventi d’importanti figure quali l’ex segretario di Stato americano Condoleezza Rice, l’ex presidente del Pakistan Pervez Musharraf, il diplomatico Peter Galbratith e il produttore del film Mark Siegel, co-autore e amico di Benazir, un film che si presenta di sicuro nelle vesti d’interessante prodotto volto a mostrare chiaramente in che modo la sostenitrice di un Islam moderno, tollerante, pluralistico e democratico con illimitate possibilità per le donne, finì per trasformarsi nel peggiore incubo dei sostenitori della Jihad.
Ed è una nutrita colonna sonora spaziante da "Wild world" di Cat Stevens a "Power to the people" di John Lennon and The Plastic Ono Band a scandire il buon montaggio di Jessica Hernández, il quale, per quasi due ore di visione, ci accompagna alla (ri)scoperta di colei che incarnò una metafora di quel conflitto tra terrorismo e moderazione che, ancora oggi, sconvolge il nostro mondo.
Due ore di visione che rischiano soltanto di non risultare sempre seguibili con facilità, penalizzate in particolar modo dall’eccessiva velocità con cui, senza tregua, i moltissimi discorsi si susseguono sullo schermo.

La frase: "Per salvare il paese bisogna ristabilire la democrazia".

Francesco Lomuscio

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