Below Sea Level
Non c'è nulla di più cinematografico di un non luogo. Spazi aperti, geograficamente collocati che però potrebbero essere ovunque o da nessuna parte ma che normalmente non esistono. Spesso esistono solo nel momento in cui vengono documentati, come in questo caso. A volte si trovano in regioni molto vicine alla "civiltà", al glamour, alle località delle mille occasioni. Il regista italiano Gianfranco Rosi in questo "Below sea level" documenta quattro anni di vita di una minuscola comunità che vive in pieno deserto californiano a "soli" trecento chilometri a sud ovest di Los Angeles. Come suggerisce il titolo, in una depressione effettiva e metaforica "sotto il livello del mare". Le regole per il vagabondaggio negli Stati Uniti sono molto strette: si può stare in una grande città solo se si ha una residenza o si è registrati presso un rifugio per senzatetto e si può stare tra le montagne solo per quindici giorni. Anche in questo caso, solo se si ha una regolare residenza. Però il deserto è così grande che nessuno ti chiede nulla e nessuno ti viene a cercare. Questo è il punto di vista di Mike, uno dei tanti "disadattati" che vivono in roulotte senza elettricità né acqua e che ha solo un sogno: la sua canzone, il suo modo per esprimere la sua esistenza silenziosa.

Rosi costruisce una narrativa basata sulle storie spesso tragiche degli abitanti di questo quartiere senza nome con sensibilità e rispetto, lontani da accenti patetici e sentimentali. Eppure si tratta spesso di vite profondamente segnate da eventi traumatici, come la perdita di figli o l'esperienza della guerra. Vi sono poi personaggi straordinari come Wayne il pazzo, sempre pronto a bestemmiare, a sbraitare, a minacciare di prendere un fucile a canne mozze e a uccidere tutti... quando in realtà Wayne è il personaggio più tenero dei tanti rappresentati, con il suo costante bisogno di affetto ed il suo amore viscerale e disinteressato nei confronti dei cagnolini.
"Mordetemi, baciatemi -dice- io vi amerò lo stesso". Uno dei suoi cani curiosi è, secondo quanto dice, un incrocio tra un pitbull e un chihuaha. Chi lo sa. La verità è che il non luogo è la zona ideale per una ricostruzione di una narrativa personale. Nessuna di queste persona mostra di essere disperata o autodistruttiva. Certo, ci sono casi di alcolismo, però sono tutti animati dalla voglia di andare avanti, di trovare un senso, un amicizia, forse persino l'amore.

La verità è che il quadro delineato da Gianfranco Rosi potrebbe quasi corrispondere a una prospettiva post atomica alla Mad Max, ma senza gli aspetti violenti di quel film di fantascienza apocalittico. Forse è questo quello che accadrebbe qualora le regole dell'uomo dovessero essere gettate via a seguito di un evento catastrofico, si formerebbero piccole comunità autonome di mutua assistenza, in un vuoto assoluto.

La frase: "Questa non è la California, qui non siamo da nessuna parte".

Mauro Corso

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