Belfagor - Il fantasma del Louvre
Nel museo più famoso del mondo è ritornato Belfagor. Nelle sale del Louvre svolazza e passeggia lo spirito di una mummia egizia, dotata di poteri malefici. Dai tunnel ai sotterranei, dai ripostigli ai laboratori super tecnologici del Museo, Belfagor volteggia, invincibile e senza paura. Ma è anche un'anima perduta: il suo viaggio verso la terra dei morti è stato interrotto e il dolore per questo lo rende terrificante e vendicativo. Si appropria del corpo cosi di una giovane donna, Lisa, nel tentativo di ritrovare tutti gli elementi necessari al passaggio finale.

Sembra impossibile, ma guardando questo film si fa pressante il desiderio di tornare al bianco e nero e ritrovare le atmosfere misteriose ed inquietanti della serie televisiva, realizzata nel '65 da Claude Barma. Con la comparsa del fantasma in scena, fiammeggiante scheletro digitale che "sfarfalla" qua e là, accompagnato da una ossessiva musica dai ritmi africani, l'idea di trovarsi davanti ad un buon remake si frantuma. La tensione, basata solo sul ricordo della serie televisiva, crolla miseramente sbattendo per tutto il resto della storia contro la banalità e la ridondante inutilità della pellicola.

La rivisitazione del mito di Belfagor - mito moderno e per di più televisivo, ma pur sempre mito - compiuta dal quarantunenne regista francese Jean-Paul Salomé, è totalmente priva del mistero del suo predecessore. Riportare l'idea di un fantasma che si distacca dal corpo mummificato e senza nome di un principe egizio per vendicarsi, non è solo poco originale ma anche priva di attrattive. Salomè arriva persino a modificare gli eventi della serie televisiva, inventando stralci di pellicola in bianco e nero per legittimare l'esistenza del suo fantasma. Ma anche lui cede alla nostalgia lasciando tornare sulla scena, attraverso alcuni brevissimi fotogrammi, prima il Belfagor originale e in seguito l'eroina della serie TV, Juliette Gréco.

Le continue reminiscenze e citazioni affondano ancor più lo stanco spettatore nel baratro della noia. Serrault e le sue "ironiche" battute sulla "Maschera di Ferro" del fantasma, la povera cantante Dalida, lontana e incomprensibile come l'Egitto, e il British Museum, non riescono mai a fermare lo scempio della storia di Barma. E neppure Sophie Marceau ci riesce, obbligata a saltare da una parete all'altra del manicomio dov'è rinchiusa, dimenticandosi di essere "posseduta" da un fantasma egizio e non da una scimmia. Per tacere dello stesso Belfagor costretto troppo spesso a scivolare sui pavimenti del museo con delle rotelle, quando non si dilegua "in digitale".
Non è finita qui: a tutto ciò si aggiunge anche il doppiaggio, con errori di pronuncia di nomi storici come Janis Joplin.

Valeria Chiari

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