Beket
Terzo atto della trilogia in bianco e nero dedicata alla solitudine (il corto "Bombay: Arthur road prison" sul carcere, il film "Girotondo, giro intorno al mondo" sull’emarginazione e questo secondo lungometraggio di finzione su crisi di identità, mancanza di scopo della vita, incomunicabilità), liberamente ispirato ad "Aspettando Godot" - l’opera (una tragicommedia) più celebre di Samuel Beckett - in una sintesi già evidente nel titolo, "Beket" omaggia il teatro dell’assurdo che è nella formazione e nell’esistenzialismo del regista Davide Manuli, già autore del libro di poesie "la mia incapacità di stare al mondo". Ma – basato su costi minimali, troupe ristretta, riprese veloci - è nato pure dalla disperazione dopo il blocco del progetto per il film "Doping" sul mondo del ciclismo (4 rinvii per un finanziamento ministeriale conclusi con un inspiegato abbassamento di punteggio): con una citazione di Beckett ("Tentare di nuovo. Fallire meglio") e il disegno (a firma PKY) di un pugile al tappeto in locandina, la pellicola si apre con un boxeur in allenamento che sferra pugni al vuoto, vicino a pale eoliche che ricordano mulini a vento donchisciotteschi.
In unità sceniche a sé stanti che spezzano linearità e regole narrative, si inseriscono uno dei protagonisti attonito (non sa se si sente infelice, teme una vita solitaria) e incontri strampalati (Adamo ed un’affamata e lesbica Eva, agenti segreti, il mariachi/oracolo Roberto “Freak” Antoni che canta alcuni brani dei suoi Skiantos, guardiani di capre, cowboys, una Grande Madre, il richiamo al gruppo di rock-demenziale "Stinchi di santi", un bambino messo di Godot), mentre tra dialoghi e azioni non-sense si parla di "teatro primordiale" e de "l’isola che non c’è", con ripetizioni in una ciclicità che arriva fino all’inversione dei ruoli. Attraverso la lucentezza - non artificiale - della fotografia di Tarek Ben Abdallah, si ammira per lo più una Natura desertica, sterminata e predominante (quasi del tutto in Sardegna, con un tocco di Umbria), dai non-luoghi senza tempo, misteriosi, affascinanti e funzionali all’astrazione.
La frase: "Il gelato è il mio conforto".
Federico Raponi
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