Outrage
C’e’ un rimescolamento di ruoli e posizioni all’interno delle grandi famiglie della yakuza. A scatenarlo è un’alleanza poco gradita al boss dei boss, mr. Chairman. Tutti vogliono trarne vantaggio, in particolare Otomo, piccolo pesce che si occupa di fare il lavoro sporco con una sua gang e che ha intenzione di farsi strada a furia di omicidi.
“Outrage” conferma tutta la maestria e la perizia di Takeshi Kitano (abile manipolatore di tempi e generi del racconto), ma contemporaneamente grida anche vendetta per la pochezza dei contenuti. Il cineasta giapponese ex-idolo della televisione ci ha abituato ad opere raccontate con tono pacato che subiscono subitanee impennate d’azione, violenza o sentimento. Il suo tocco, spesso falsamente ingenuo, spesso poetico, ha sempre saputo trovare una sua strada originale nell’indagare l’animo umano. Strano che “Outrage” manchi proprio da questo punto di vista. Le immagini e le scene si ripetono senza fantasia né ironia, quasi in maniera meccanica.
Uccisione dopo uccisione, morte dopo morte, scalata dopo scalata Outrage non fa che accumulare cadaveri come in un campionario di modi per uccidere una persona, disinteressandosi nella maniera più assoluta di dare un tratto distintivo ai propri personaggi: servono solo per causare o essere vittime di omicidi.
Difficile anche definire il tutto un film non riuscito. Nella lineare pianificazione con cui il film procede dall’inizio alla fine si legge il chiaro intento di non affrontare nessuna psicologia e nessun rapporto: che tutto sia semplice collage di momenti fatti, autoconclusivi.
Senza essere certo un film d’azione, senza avere i valori del noir, senza essere disperato, allegro, rasserenante o anche solo drammatico “Outrage” fa quello che tutti temevano avrebbe fatto e che lo stesso Kitano aveva, quasi ironicamente, annunciato della trilogia sull’artista che aveva realizzato (presentandola sempre a Venezia) prima di quest’ultimo lavoro: “tornare agli inizi per mancanza di idee”.

La frase: "Di questi tempi la gente non è interessata alla ricchezza ma a fare carriera.".

Andrea D'Addio

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