Aspirante vedovo
Sebbene i suoi realizzatori parlino di omaggio e non di remake, l’operazione, a quanto pare, è semplice: si prende "Il vedovo", girato nel lontano 1959 dal maestro della commedia tricolore Dino Risi, e se ne riadatta l’idea di base spostandone l’ambientazione dall’Italia del boom economico alla Milano odierna; dove, nonostante le stesse scenografie tempestate di gru e impalcature atte a testimoniarne il continuo "clima di costruzione", a dominare sulle bocche dei cittadini sono la crisi e l’immancabile frase "Non c’è niente da fare, questo paese non cambierà mai".
Quindi, una Milano in cui, tra telefoni cellulari, moderna tecnologia e incidenti che vedono coinvolti operai extracomunitari sui posti di lavoro, troviamo il giovane e dinamico imprenditore Alberto Nardi che, interpretato nella pellicola originale da Alberto Sordi e qui da Fabio De Luigi, in seguito a una serie di fallimentari imprese intende provocare la morte della ricca e potente moglie al fine di ereditarne il tutt’altro che povero patrimonio.
Moglie che, a suo tempo con il volto di Franca Valeri, non si chiama più Elvira, ma Susanna, cui concede anima e corpo una Luciana Littizzetto che il regista Massimo Venier – in precedenza autore, tra l’altro, di "Tre uomini e una gamba" e "Generazione mille euro" – sembra, però, tenere erroneamente a freno, impedendole di sfoderare tutta la verve che le ha permesso di contraddistinguersi nell’ambito del piccolo schermo.
Soltanto il primo difetto di un elaborato che, tra discorsi riguardanti bambole tossiche ritirate dal mercato e brevi apparizioni per Stefano Chiodaroli e il critico cinematografico Tatti Sanguineti, differisce dal capostipite soprattutto per quanto riguarda la parte finale, con il diabolico piano che prevede ora l’utilizzo di una finta cabina telefonica e non più di un ascensore.
Un elaborato che, comprendente Clizia Fornasier nei panni della bella di turno e Francesco Brandi e Alessandro"Ale"Besentini in quelli dei complici di Nardi, risente proprio della mancanza di quella inconfondibile comicità sordiana fatta di espressioni facciali e dialetto romanesco, rimpiazzata in maniera del tutto inadeguata da quella di taglio britannico tipica di De Luigi; al posto del quale, senza alcun dubbio, più funzionali al ruolo sarebbero risultati Christian De Sica o Enrico Brignano.
Di conseguenza, se nel classico risiano l’ilarità era suscitata esclusivamente dalla memorabile performance del mitico "americano a Roma" della celluloide, durante la visione di questa sua rilettura non si ride mai... tanto che non è difficile pensare possa rivelarsi adatta, al massimo, a una distratta fruizione casalinga – magari interrotta più volte dagli spot pubblicitari – mentre ci si trova a tavola.
La frase:
- "Come minimo sognavi che ero morta"
- "Perché?"
- "Ridevi nel sonno".
a cura di Francesco Lomuscio
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