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Arthur e la vendetta di Maltazard
"Il primo film doveva stabilire la differenza, in termini di misure, tra il mondo umano "di sopra" e il mondo dei Minimei "di sotto". Questa volta, abbiamo potuto saltare le spiegazioni e andare direttamente al punto".
A tre anni da "Arthur e il popolo dei Minimei" (2006) che, strutturato tra sequenze live action e altre caratterizzate dall’animazione tridimensionale, ha finito per trasformarsi nel film che occupa il tredicesimo posto all’interno della classifica dei cartoon di maggiore successo della storia del cinema, lo Spielberg d’oltralpe Luc Besson torna dietro la macchina da presa per dirigere questo primo sequel, partendo, come di consueto, dai libri scritti da lui stesso.
Un’operazione che sembra stare alla sua filmografia proprio come la trilogia "Spy kids" sta a quella di Robert Rodriguez, e che vede ancora una volta il bravo Freddie Highmore de "La fabbrica di cioccolato" (2005) nei panni del piccolo del titolo, il quale, nel momento in cui il padre decide d’interrompere la breve vacanza familiare nella casa di campagna di Villa Granny, si trova costretto a tornare nel mondo dei Minimei, richiamato da un inaspettato segnale d’allarme che vorrebbe Selenia in pericolo.
Quindi, il giusto pretesto per poter dare il via alla serie di pericolose situazioni che vedono coinvolti ragni, rane, topi e le truppe di Krob, nuovo tiranno dei Sette Regni, mentre la rappresentazione grafica di alcuni personaggi e le scenografie che caratterizzano Paradise Alley ricordano non poco "Il quinto elemento" (1997), sempre di Besson.
Ma, in particolar modo per quanto riguarda le situazioni girate con attori in carne ed ossa, sono soprattutto gli avventurosi fanta-film a stelle e strisce degli anni Ottanta a tornare alla memoria, tra immancabile ironia (alcuni personaggi, nella versione italiana, parlano addirittura con accento napoletano) e curatissimo lato tecnico.
Come pure l’animazione, al servizio di poco più di un’ora e mezza di visione che, caratterizzata da un discreto ritmo narrativo, rischia solo di risultare a lungo andare eccessivamente fracassona, tanto che l'infinità di trovate finiscono per fagocitare lo script.
Con finale lasciato aperto per "Arthur et la guerre des deux mondes", girato contemporaneamente a questo secondo episodio.
La frase: "Non c’è nessun business come lo show business".
Francesco Lomuscio
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