Arrivederci amore, ciao
"Con Arrivederci amore, ciao" Massimo Carlotto ha assunto il romanzo nero come metafora della realtà contemporanea. Il protagonista del romanzo, Giorgio Pellegrini, è un tipo sfrontato e scanzonato, cinico ma anche sentimentale. Un ex terrorista che, per sfuggire ad una pesante condanna, si è rifugiato in una selva del Centro-America lambita da un fiume limaccioso. Giorgio vuole tornare indietro, rifarsi una vita rispettabile, costi quello che costi. Di nuovo in Italia, ottenuta la libertà in cambio del tradimento dei suoi ex compagni, si prepara a rientrare nella società.
Paradossalmente il percorso della sua formazione criminale inizia proprio quando sceglie di voler essere un uomo normale. Pellegrini dovrà per forza scegliere il male, senza cedimenti, per liberarsi del passato ed arrivare alla completa riabilitazione. Il suo percorso si rivelerà l'esatto contrario della redenzione". Con queste parole il regista Michele Soavi, momentaneamente allontanatosi dal piccolo schermo, riassume la trama della sua ultima fatica, "Arrivederci amore, ciao", tratta dall'omonimo romanzo di Massimo Carlotto ed il cui titolo proviene da un passaggio del bellissimo motivo Insieme a te non ci sto più, scritto nel 1968 da Paolo Conte e Vito Pallavicini per Caterina Caselli; quello stesso motivo che, fin dai primi minuti di visione, scopriamo essere particolarmente legato ai ricordi di Giorgio, interpretato da Alessio Boni. E non si tratta di ricordi riguardanti i favolosi Anni Sessanta o amori indimenticati, bensì del giorno in cui, alla fine del 1989, in un avamposto guerrigliero nella giungla del Centro America, uccise l'amico Luca, dopo essere venuto al corrente della notizia del crollo del muro di Berlino. Perché la vicenda che Soavi ci racconta, al cui centro, come da lui stesso accennato, troviamo il tema della riabilitazione, si costruisce interamente sulla figura di un uomo deciso quanto spietato pur di rimanere coerente con la personale idea di cancellare ogni traccia del suo passato, il quale ritorna puntualmente, come una maledizione, ogni volta che le casse dello stereo lasciano uscire la voce di Caterina Caselli. E, tra sequenze di tensione realizzate con la consueta maestria a cui il regista di "Deliria" (1987) ci ha ormai da anni abituati ed un'ottima colonna sonora infarcita di vecchi hit musicali, entrano progressivamente in scena diversi personaggi che avranno non poca importanza nell'insospettabilmente violenta esistenza di Giorgio: il primo è il vice questore della Digos Anedda, con il volto di Michele Placido, in possesso di una prova schiacciante del suo antico crimine, la quale gli sarà utile per ricattarlo; poi c'è Flora, con le fattezze della sempre affascinante Isabella Ferrari, quarantenne bella ed infelice sulla quale gode nell'esercitare il proprio potere, al fine di ricavare i soldi per ottenere il suo personale riscatto, mentre si addentra sempre più in un peccaminoso gorgo di loschi affari, rapine e traffico di droga. Infine, la romantica e sognatrice Roberta, interpretata da Alina Nedelea, affascinata da Giorgio nonostante sia al corrente del suo passato da terrorista. Ed il racconto, triste specchio della corrotta, odierna società, non risulta mai prevedibile, grazie all'invidiabile capacità di Soavi di portarci continuamente fuori strada per far sì che ogni evento giunga inaspettato, mentre, come già recentemente successo con quel gioiellino intitolato Romanzo criminale (2005), diretto dal succitato Placido, veniamo invitati a riflettere su quanta invisibile criminalità si nasconda tra i comuni mortali, sebbene il look del lungometraggio, in generale, non si discosti molto da quello delle fiction televisive.
In ogni caso, nello stantio panorama cinematografico tricolore, è sempre preferibile una buona fiction da proiettare su grande schermo che un pessimo film da vedere in tv.

La frase: "Giurami che sei pentito, giurami che non sei più comunista!".

Mirko Lomuscio

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