Appuntamento a ora insolita
Direttore della fotografia dalla carriera quasi ventennale ("Panni sporchi" di Mario Monicelli e "Verso Nord" di Stefano Reali nel curriculum), Stefano Coletta esordisce dietro la macchina da presa, sotto la produzione dell’indipendente Donatella Palermo ("Tano da morire"), con una commedia corale il cui nutrito cast è di quelli che rimangono a lungo tempo impressi nella memoria.
Al di là di una breve apparizione di Beppe Fiorello, infatti, all’interno del gruppo di amici protagonisti abbiamo, tra gli altri, Ricky Tognazzi nei panni di un avvocato che va dall’analista tre volte a settimana, Giulio Scarpati impegnato a ricoprire il ruolo di un teatrante con una certa passione per le donne e Antonio Catania quello di un professore che arriva perfino a tentare di sedurre una sua studentessa.
Tris di nomi noti cui si aggiunge il comparto femminile costituito da Maddalena Crippa, Karin Giegerich e Simona Nasi, tutti immersi in una Torino resa efficacemente grigia dalla bella fotografia del veterano Franco Di Giacomo ("Il postino"); mentre, tra azioni fedifraghe e figli di Catania che si dividono in ragazzo omosessuale e sorella il cui credo sembra essere "scopare" ancor prima che "fare l’amore", non poco evidenti appaiono le somiglianze con "American beauty" (1999) di Sam Mendes.
Somiglianze che si spostano verso "Il grande freddo" (1983) di Lawrence Kasdan dal momento in cui i protagonisti finiscono per radunarsi in una cena destinata, tramite il gioco della verità, a lasciar emergere sentimenti, convinzioni e segreti nascosti, con il fine di ribadire l’importanza della tanto discussa seconda possibilità.
Coletta, però, che sfoggia una certa lentezza narrativa generale a volte eccessiva, sembra dedicarsi troppo velocemente (e in maniera piuttosto superficiale) proprio a questa seconda fondamentale parte, la quale avrebbe meritato una maggiore attenzione nella costruzione dei tempi di racconto, in modo da coinvolgere lo spettatore, passo dopo passo, generando anche un minimo di tensione.
Così come è, la sua opera prima presenta solo le evidenti fattezze di un esercizio di stile non del tutto sufficiente e la cui regia fallisce nel tentativo di valorizzare a dovere il corposo script e il buon cast a disposizione.

La frase: "Qualcuno ha detto che Dio c’ha dato l’abitudine al posto della felicità".

Francesco Lomuscio

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