Apache
La vita umana vale meno di un fucile, per alcuni giovani perdenti della periferia del turismo balneare corso. I ragazzi, locali, vivono in palazzi popolari ai margini del paese e lavorano tra giardinaggio, pulizie e cantieri delle ville di chi, l'estate, "invade" il territorio senza portare una ricchezza generalizzata, suscitando così il disprezzo degli esclusi.
Nell'esordio da autore cinematografico, Thierry De Peretti - già attore e premiato regista teatrale, qui ha co-sceneggiato e diretto - riprende un tragico, sentito episodio di cronaca della sua isola, dove esiste una certa consuetudine con l'omicidio (in una sequenza, due amici parlando d'altro guardano sul telefono cellulare - come un breve intermezzo - le immagini di un delitto efferato, con freddi commenti da avvezzi). In "Apache" - titolo che richiama appunto una dura frontiera dell'epopea colonica – lo stagionale mondo della vacanza è un lontano contorno di feste in spiagge e piscine, mentre l'azione si scatena invece in una selvaggia ambientazione di paludi e boschi. Dopo un casting di quasi due anni, il film ha ricalcato gli stessi luoghi dei fatti, a mo' di laboratorio per una presa di coscienza ed elaborazione comunitaria. Con un realismo costruito su poca luce artificiale, piani-sequenza e rapide riprese, il contesto non prevede la presenza di forze dell'ordine, dato che ad esempio i furti subìti si risolvono con le telefonate giuste nel giro della malavita. C'è chi vive bene le proprie radici, il ristretto universo di riferimento, e chi vuol andar via, ma in entrambi i casi spinti da un famelico "qui ed ora" che manca di un'idea di futuro ("dobbiamo divertirci, approfittare della vita: non si sa cosa può succedere"), evidente nella foga con cui i protagonisti scavano con le mani la fossa per nascondere un cadavere e poi danno fuoco alle magliette utilizzate per compiere il crimine, cercando di cancellare possibili tracce e in qualche modo purificarsi.
La frase:
- "Chi è?"
- "Che ci frega, è morto".
a cura di Federico Raponi
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