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Annabelle 2: Creation

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio31 luglio 2017Voto: 6.0
 

  • Foto dal film Annabelle 2: Creation
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Prima di passare a dodici anni più tardi, comincia all’insegna della tragedia – ricordando, curiosamente, l’incipit dell’”Angoscia” diretto nel 2015 da Sonny Mallhi – questo sequel dell’”Annabelle” che, firmato dal John R. Leonetti conosciuto soprattutto per la sua attività di direttore della fotografia, fece da antefatto a “L’evocazione – The conjuring” di James Wan, a quanto pare ispirato a fatti realmente accaduti.

Sequel che è, in realtà, un prequel del lungometraggio precedente, in quanto finalizzato a portare lo spettatore a conoscenza della genesi della diabolica bambola vintage del titolo, vestita con abito da sposa bianco candido e che avevamo visto regalare da un marito alla consorte incinta.
Di conseguenza, in questo caso il protagonista non poteva essere altro che un artigiano produttore di bambole che, interpretato da Anthony LaPaglia, decide di ospitare le ragazze di un orfanotrofio nell’abitazione in cui vive insieme alla moglie dalle fattezze di Miranda Otto e dove si trova una porta chiusa a chiave, che deve assolutamente rimanere tale.
Una situazione che, in un certo senso, può riportare alla memoria del seguace irriducibile dell’orrore in celluloide quella su cui venne costruito nella seconda metà degli anni Ottanta “Dolls – Bambole” di Stuart Gordon, sebbene l’atmosfera generale qui non punti affatto a sfruttare una darkeggiante notte di temporale.

Reduce dal decisamente poco riuscito “Lights out – Terrore nel buio”, infatti, il nuovo arrivato dietro la macchina da presa David F. Sandberg tende in maniera evidente a generare un forte contrasto tra la soleggiata ambientazione rurale e la cupezza dominante all’interno della casa, destinata a trasmettersi sull’intera vicenda.
Forte contrasto che, da solo, già provvede a far risultare l’insieme più accattivante rispetto al piuttosto piatto film di Leonetti, del quale rispecchia i lenti ritmi di narrazione ma da cui, fortunatamente, si distacca grazie a non disprezzabili scelte che finiscono per renderne maggiormente scorrevole la visione.
Perché, sorvolando sugli inutili elogi al lodevole lavoro svolto dal comparto tecnico, se da un lato ci troviamo dinanzi all’ennesimo horror d’inizio terzo millennio atto a fare a meno di effettistica truculenta e spargimenti di liquido rosso per puntare, al contrario, su immancabili (e spesso prevedibili) apparizioni improvvise e manipolazioni del sonoro mirate a rafforzarne l’impatto pauroso sul pubblico, dall’altro qualche spavento sembra comunque essere garantito.

E, mentre la Stephanie Sigman di “Spectre” veste i panni della suora (troppo bella per essere credibile) che accompagna le giovani, la sempreverde “You’re my sunshine” riecheggia come un tutt’altro che rassicurante presagio sonoro nel corso della quasi ora e cinquanta di visione.
Con qualche forzatura di sceneggiatura riconducibile ad alcuni comportamenti inverosimili dei protagonisti (è comunque una caratteristica tipica del genere) e una delle migliori sequenze individuabile in quella efficacemente inquietante e tesa della ragazzina alle prese con la sedia motorizzata per poter salire le scale... fino all’ultima sorpresa posta al termine dei titoli di coda di un’operazione non entusiasmante, ma neppure bocciabile.


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